ARBASINO a VOGHERA: seconda parte

RIFLESSIONI, RISCRITTURE E ALTRO

Qui la prima parte

6.
Eppure la nostra minuscola città aveva una sua fisionomia, una dignità sua propria di belle semplici case antiche dai curvi balconi di ferro, di calme vie lastricate, di nobili torri da cui a sera sciamavano le rondini a intrecciare le loro grida sulle piazze aperte. Sorgeva il Duomo su una di queste piazze, spaziosa tanto da permettere le più ampie evoluzioni, il mezzogiorno della domenica, alle carrozze; ed era un antico Duomo, nel quale fra ori e stucchi figurava qualche non spregevole statua di marmo o di bronzo, di Evangelisti issati nel gesto benedicente sui pilastri centrali(La provinciale)

Piazza del Duomo
La facciata del Duomo (Collegiata di San Lorenzo martire)
Duomo (cupola centrale)
Le statue degli Evangelisti

7.
Camminavano nella stretta via Emilia molto affollata; i caffè occupavano con le loro file di tavolini lunghi tratti di marciapiede. I negozi apparivano illuminati su due ininterrotte file. Passavano molti in bicicletta, e parecchie ragazze carine che attraverso gli abiti ancora scollati mostravano l’abbronzatura presa in piscina nei mesi dell’estate passata.
«Sono le sette» disse il giornalista, «è il passeggio elegante questo che vediamo?»
«Sì, non c’è altra via affollata che questa, con le due piazze ai margini, e la gente sulle panchine» disse Anna Maria. «Questo è il Bar Nazionale» disse, «dove gli universitari della città stanno seduti a far chiacchiere tutto il giorno. Io un po’ li detesto perché non sanno fare altro. (Una indagine del ’48)

Via Emilia
La sede (fino a poco tempo fa) del Caffè Nazionale

8.
Erano passati vicino alla chiesa di San Rocco, bassa, lunga, oltrepassando una piazzetta umida e deserta che si apriva al margine della via. (Una indagine del ’48)

Chiesa di San Rocco

9.
Giunsero a una vasta piazza, dove Medaglia non era mai stato. Larghe vie si aprivano a raggera di là, e viali imponenti ombreggiati da ippocastani e vecchissimi platani. Un traffico assai intenso di automobili e di biciclette si svolgeva intorno all’ampio salvagente, sotto gli occhi del comando dei vigili. (Una indagine del ’48)

Piazza Meardi
Il confronto con questa cartolina degli anni ’40 mostra come una rotonda ha oggi preso il posto dell’isola spartitraffico a cui si riferisce Arbasino col termine salvagente (secondo il Dizionario di De Mauro, una «banchina sopraelevata costruita nel mezzo di alcune vie di traffico particolarmente intenso, per proteggere i pedoni che salgono e scendono dai mezzi pubblici e per facilitare l’attraversamento della strada» )

10.
Presero per una strada laterale, in lieve discesa, e di lì giunsero presto a una piccola piazza lastricata di porfido. Palazzi umbertini tutti intorno formavano un perimetro irregolare; palazzi di banche, la posta, il telegrafo, una agenzia di cambiavalute; nel mezzo una fontana di ghisa stava tra due magnolie, lucidissime nell’aria grigia. 
«In fondo alla piazza, là, c’è la biblioteca civica. […] Qui c’è il Circolo, la parte mondana e brillante della città. (Una indagine del ’48)

Piazza Cesare Battisti (il palazzo in primo piano, che oggi ospita l’Archivio storico, fu sede della Banca d’Italia e poi delle Poste)
Come si può ancora leggere nella balaustrata in alto, quest’ala del palazzo ospitava la Biblioteca ricottiana (dal nome dello storico vogherese –nonché senatore del Regno d’Italia–Ercole Ricotti, 1816-1883)
Dall’altro lato della strada si trova il Palazzo dei conti della Tela, ancora sede del circolo Il Ritrovo
La fontana di ghisa: come si vede le magnolie sono ora sostituite da due cespugli

11.
“Bel nome latino” pensò levando gli occhi alla targa di via plana; ma gli sovvenne che ne aveva parlato qualcuno, la sera prima. Era la gloria della città, Giovanni Plana, astronomo del ‘700, autore di trattati sul moto della Luna, premiati in Francia e in Piemonte. […] Quella via larga, tra case per lo più secolari, senza traffico di veicoli sulle sue guide di pietra nel centro; per otto anni Attilio doveva averla percorsa ogni giorno. Il marciapiede piuttosto sconnesso. Una chiesa c’era a metà della via; oltrepassò la porta sotto un arco di rossi mattoni, consunti nel fregio che componevano. Un volo di amorini gli si parò davanti, e una distesa di freddi inginocchiatoi di marmo di fronte a un altare barocco. Una densa ombra si infittiva attorno ai confessionali, sui pulpiti adorni di paramenti paonazzi. Riflessi dorati splendevano vicino a qualche cero acceso. Uscì a capo chino sotto il grande Crocifisso che fissava l’uscita con gli occhi rotondi. (Una indagine del ’48)

Via Giovanni Plana
In questa vecchia foto si possono ancora vedere le «guide di pietra nel centro» e si può ancora apprezzare l’assenza di «traffico di veicoli»
La chiesa di San Giuseppe, «a metà della via» Plana
L’«altare barocco» e il «grande crocifisso» all’interno della chiesa

12.
«Lei sta in albergo?»
«Sì, ho preso una camera all’Universo.»
(Una indagine del ’48)

La sede dell’ex Albergo Universo, in via Emilia

NOTA: 

I racconti citati, originariamente apparsi nelle raccolte Le piccole vacanze del 1957 (poi rivista dall’autore fino alla terza e definitiva edizione pubblicata da Adelphi nel 2007) e L’anonimo lombardo del 1959, sono tratti dal primo volume dei Meridiani dedicati allo scrittore vogherese: A. Arbasino, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, vol. 1., 2009.

Tutte le fotografie sono state scattate l’8 luglio 2020 (ad eccezione delle due fotografie storiche e di quella dell’interno di San Giuseppe, trovate on line; lo stesso dicasi per la foto dell’edificio sede dell’ex Albergo Universo, tratta dal sito di Roberto Marchese dedicato all’Oltrepò).

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