0. Introduzione
Ys (scritto anche Is o Ker-Is, che in bretone significa “città bassa”) è il nome di una mitica città bretone che, secondo un’antica leggenda, sarebbe stata inghiottita dall’Oceano. Ma Ys è anche il titolo di due album musicali celebrati dalla critica: il capolavoro dark del progressive italiano ad opera del Balletto di bronzo uscito nel 1972 e l’ambizioso disco che nel 2006 ha consacrato la cantautrice e arpista americana Joanna Newsom. In verità per entrambi l’aggancio con la leggenda bretone è piuttosto fortuito e limitato di fatto al titolo[1]; tuttavia questo elemento in comune può rappresentare l’occasione per valorizzare –ancora una volta– questi due importanti lavori discografici, alla ricerca di eventuali punti di contatto. Esiste forse qualche misteriosa connessione tra l’antica Bretagna, gli interessi occultistici e esoterici di Gianni Leone (tastierista e cantante del Balletto di Bronzo e autore di tutte le musiche del loro Ys) e gli eruditi riferimenti astronomici e naturalistici che impreziosiscono le canzoni di Joanna Newsom?
1. La leggenda di Ys
1.1 Come recentemente ricostruito in dettaglio da Jean-Michel Le Bot, le prime redazioni scritte della storia di Ys risalgono al XVI secolo e ce ne offrono una versione già cristianizzata: in esse il motivo classico dell’isola sommersa (si pensi ad Atlantide) si combina con il modello narrativo offerto dai racconti biblici del Diluvio universale e della punizione divina inflitta a Sodoma e Gomorra.
La prima testimonianza della leggenda si deve allo storico bretone Pierre Le Baud, che la inserisce nella seconda redazione della sua Compillation des Cronicques et ystoires des Bretons (completata tra il 1498 e il 1505, ma pubblicata solo nel 1638 da Pierre d’Hozier). Vi si racconta che l’inabissamento di Ys fu dovuto ai peccati dei suoi abitanti, e che il re Gradlon vi scampò miracolosamente –come il profeta Lot da Sodoma– grazie all’intervento di San Vinvaleo (Guénolé in francese)[2].
Oltre alle rapide citazioni da parte dello storico e giurista Bertrand d’Argentré (1588) e del canonico Jean Moreau nelle sue memorie redatte all’inizio del ‘600 (ma pubblicate nel 1836), negli stessi anni (1580) la storia di Ys si ritrova in un manoscritto contenente un mistero in medio bretone in cui è narrata la vita di San Vinvaleo. Rispetto alla versione di Pierre Le Baud questo testo in versi drammatizza ulteriormente il racconto a scopo edificante: vi si legge che, per quanto il re Gradlon avesse pregato Vinvaleo (qui presentato come suo nipote) di aiutarlo a convertire i cittadini peccatori della città, questi ultimi opposero il loro diritto di continuare la loro vita da libertini (tra canti e piaceri). Inoltre il salvataggio di Gradlon avviene in cambio della sua promessa di dedicarsi alla devozione e di non abbandonare più Vinvaleo.
Così come le precedenti, anche quest’ultima versione allude inoltre all’esistenza di una antica tradizione orale a proposito di una città sommersa dalle acque (tradizione che continuerà a circolare parallelamente alle versioni letterarie); più in particolare, tale città è stata storicamente localizzata nella baia di Douarnenez (nella Cornovaglia francese), dove si trovano rovine gallo-romane (che corrispondono a recipienti usati per la preparazione di un condimento a base di interiora di pesce noto sin dall’antichità come garum[3] ): proprio a giustificazione della presenza di tali ruderi i pescatori e i contadini della zona si sono sempre richiamati alla leggenda della città sommersa. Inoltre, secondo quanto riportato da Ernest Renan nella prefazione ai suoi Souvenirs d’enfance et de jeunesse (1883), i pescatori bretoni sostenevano di poter vedere, nei giorni di tempesta, le guglie delle chiese di Ys emergere dalle acque; diversamente, le giornate di mare calmo avrebbero permesso di udire il suono delle sue campane.
1.2 Nel XVII secolo la storia dell’inabissamento si è poi arricchita di ulteriori dettagli: per esempio nella versione trasmessaci nel 1636 dal memorialista François-Nicolas Baudot Dubuisson-Aubenay viene menzionata per la prima volta la figlia del re Gradlon: sarebbe stata proprio lei, con i suoi comportamenti immorali, a provocare la sommersione della città; e per placare l’ira divina, il sovrano sarà costretto a gettarla in mare. L’anno seguente, nella sua Vie des saincts de la Bretaigne armorique, il domenicano Albert Le Grand darà a tale principessa il nome di Dahut.
Altri particolari saranno poi aggiunti nel 1799 dall’autore bretone Jacques Cambry e nel 1837 da Daniel-Louis Miorcec de Kerdanet: il primo riporta che Gradlon avrebbe deciso di portare con sé Dahut ma, proprio mentre stavano per essere inghiottiti dal mare, San Vinvaleo gli avrebbe intimato di liberarsi della figlia, unica possibilità per il sovrano di salvarsi; il secondo collega invece la chiave –simbolo di regalità– che Dahut avrebbe rubato al padre (come racconta Albert Le Grand) all’esistenza di un sistema di sbarramento fatto di dighe e chiuse costruito per proteggere la città di Ys dall’Oceano. Qualche anno dopo lo storico Pierre-Michel-François Chevalier (La Bretagne ancienne et moderne, 1844) riferisce che le chiavi per aprire le chiuse sarebbero state conservate da Gradlon in una cassaforte apribile a sua volta con un’altra chiave: quest’ultima, che il re era solito portare al collo, venne rubata dalla figlia per compiacere uno dei suoi amanti. Dal versante popolare proverrebbe infine il dettaglio per cui Dahut, dopo la morte, si sarebbe trasformata in una sirena, il cui canto risuonerebbe ancora alle orecchie dei pescatori[4].
Infine, se due autori hanno più di tutti contribuito alla fissazione e alla circolazione della leggenda di Ys nel ‘900 – Charles Guyot in La légende de la ville d’Ys d’après les anciens textes (1926)[5]; e Georges-Gustave Toudouze in Les derniers jours d’Ys-la-Maudite (1947) –, negli ultimi decenni essa ha continuato ad essere divulgata –soprattutto in contesto bretone–attraverso la letteratura, la musica, le arti visive, il teatro, i fumetti[6].
2. Il Balletto di Bronzo, Ys (Polydor, 1972)
2.1 Formatasi a Napoli alla fine degli anni ’60, la band del Balletto di Bronzo (probabilmente dal nome dal dipinto Bronze Ballet di Edward Wadsworth conservato alla Tate Gallery) debuttò su 33 giri nel 1970 con Sirio 2222 (preceduto l’anno prima dal singolo Neve calda / Cominciò per gioco). Dopo il pop psichedelico con venature hard rock dell’album di esordio, il gruppo cambia formazione: ai componenti originari Lino Ajello (chitarra) e Giancarlo Stinga (batteria) si uniscono ora il bassista Vito Manzari e soprattutto il giovanissimo tastierista Gianni Leone (nato a Napoli nel 1953). È alla personalità carismatica di quest’ultimo, nonché al suo talento alle tastiere e alla sua voglia di trasferire anche in ambito musicale il suo estroso anticonformismo, che si deve il deciso cambio di direzione che si concretizzerà in Ys, pubblicato nel 1972[7].

Oltre che nel titolo, Ys si rivela enigmatico sin dalla copertina, composta da quattro foto di inizio ‘900 dell’attrice Maria Nencioni nelle vesti di Messalina: le atmosfere cupe dell’album –un disco «oscuro, arcano e angosciante»[8]– e i testi misterici intonati dall’acerba voce di Leone confermeranno in pieno l’impressione di trovarsi sulla soglia di un viaggio iniziatico.
La clamorosa originalità musicale è così sottolineata da Francesco Mirenzi:
L’arrivo di Gianni Leone fu la chiave di volta. Con organo, piano, mellotron, moog, spinetta e celesta realizzò un muro sonoro che insieme alla già solida ritmica – costituita dal funambolico Giancarlo «Gianchi» Stinga alla batteria e dal nuovo entrato, Vito Manzari al basso – creò un effetto assolutamente sconvolgente per l’epoca. Si passava attraverso atmosfere classicheggianti, jazz, hard-rock e psichedeliche, il tutto supportato da una ricerca sonora davvero stupefacente[9]
All’estroso giovane leader si dovette anche la scelta del titolo: come ha dichiarato in una recente intervista, fu in una «piccola libreria esoterica» di Via Merulana, a Roma, «piena di libri di magia, parapsicologia, occultismo»[10] che s’imbatté in un volume contenente proprio la leggenda di Ys, dalla quale rimase affascinato. Così come ad affascinarlo fu «l’immagine grafica un po’ gotica del nome» della città bretone[11].
La scomparsa sotto l’Oceano della città di Ys offrì evidentemente lo spunto per la vicenda raccontata nei testi del concept album del Balletto di bronzo. Così la descrive lo stesso Leone:
la storia è quella di un superstite, a non si sa quale catastrofe, al quale viene rivelata la “verità” (le virgolette sono d’obbligo, se non le virgolone) da un’entità superiore (c’è chi dice sia Dio). Quest’uomo gira per il mondo con questa verità nell’attesa di poterla rivelare, che non può comunicare. La sua storia si snoda intorno a tre incontri: il primo con un uomo che non può sentire, al seguito del quale diventa sordo lui stesso, il secondo con un cieco, e in quel preciso momento anche lui diventa cieco, il terzo è con un muto al quale tenta di urlare questa verità, senonché diventa muto all’istante. E così il buio intorno a sé fu dentro di lui.
Tuttavia, diversamente dalle musiche, le liriche dell’album non furono opera del giovane tastierista (il quale non era d’accordo con l’uso della lingua italiana che venne imposto dalla casa discografica al posto dell’inglese): è sempre Leone a confermare che dei testi «se ne occupò Daina Dini, all’epoca fidanzata del nostro batterista Gianchi Stinga» e che essi «furono poi rivisti da Cristiano “Popy” Minellono, paroliere in seno alla PolyGram»[12].
2.2 Cercando notizie su Internet, è possibile identificare Daina Dini quale autrice di testi di matrice parapsicologica: in particolare è stata attiva sia come traduttrice dall’inglese (di saggi di Daniel C. Dennet e di Neil McIntryre e Karl Popper) sia come autrice di interventi in proprio (La rivoluzione possibile, Libertà e fondamentalismi) per la rivista napoletana «Uomini e idee» che ruotava intorno al medium Corrado Piancastelli (1930-2014). A lei si devono inoltre un capitolo (Per un illuminismo dell’interiorità) del volume a cura di Piancastelli Proposte per una parapsicologia alternativa: il manifesto di parapsicologi umanisti (Roma, Edizioni Mediterranee, 1988), così come alcuni saggi (Il pensiero metafisico di “A” o Reincarnazione: una ricerca aperta) pubblicati per la rivista del Centro italiano di parapsicologia (di cui Piancastelli fu direttore dal 1990) e incentrati sullo spirito guida “A” con cui il medium napoletano fu per lunghi anni in contatto.
Sappiamo inoltre che quella con il Balletto di Bronzo non fu l’unica esperienza di Dini in qualità di paroliera: la ritroviamo infatti quale collaboratrice per i testi di Canti d’innocenza canti d’esperienza (1973), primo album di quella costola dei New Trolls che assumerà di lì a poco il nome di Ibis. Come riportato da Riccardo Storti nella sua dettagliata monografia dedicata alla band genovese, nel disco in questione si trova un esplicito «ringraziamento per i testi a Daina Dini»; inoltre lo studioso riferisce una dichiarazione di Maurizio Salvi, uno dei componenti degli Ibis, il quale afferma che «Daina Dini era un’amica napoletana con uno spiccato senso letterario e poetico»[13]. Tra l’altro, il nome «D. Dini» era già indicato tra i collaboratori nelle note di copertina di UT (1972), ultimo LP dei New Trolls pubblicato prima della scissione[14]: la cosa non stupisce, tenuto conto che UT è suonato dalla stessa line-up che registrerà Canti d’innocenza canti d’esperienza[15].
Ora, pur non disponendo di informazioni precise circa il ruolo avuto da Daina Dini nell’elaborazione dei testi di Ys, né sapendo –giusta l’idea che si tratti della stessa persona– a quando risale il suo interessamento per i temi della parapsicologia, è tuttavia difficile resistere alla tentazione di ravvisare un legame tra tale interesse e l’arcana e esoterica storia raccontata nell’album del Balletto di Bronzo. A questo proposito si consideri, per esempio, questo passaggio tratto da uno dei contributi di Dini pubblicati sulla rivista «Uomini e idee» e dedicato al concetto di libertà:
finché l’uomo resterà cieco e senza gambe non potrà consapevolmente andare da nessuna parte, e continuerà a solcare il pianeta come un sonnambulo, senza progetto e senza meta, lontano da se stesso e dunque lontano da tutto, inutilmente.
L’immagine di questo uomo prigioniero, ingannato dai suoi sensi e da falsi bisogni, non ricorda forse quella del superstite protagonista di Ys che, incapace di rivelare la verità segreta trasmessagli da un’entità soprannaturale, finisce per aggirarsi in un mondo senza più vita in cui verrà privato dell’udito, della vista e infine anche della parola? In realtà, trovandoci di fronte a una simbologia del tutto convenzionale per significare lo sbandamento spirituale dell’uomo, sarebbe pretestuoso pretendere di ravvisare un qualche legame significativo tra questo brano e il disco del Balletto di Bronzo. Limitiamoci allora a concludere che Ys ha evidentemente risentito di un’attrazione per l’occultismo e per la ricerca spirituale che, se originava dal leader della band, non doveva forse essere estranea –già all’epoca– anche a colei a cui Leone ha riconosciuto la composizione dei testi dell’album[16].
Per di più si tratta di temi che si ritrovano nelle liriche di molte altre band della scena progressive italiana dell’epoca. Infatti, come hanno sottolineato Baptiste Le Goc e Marco Maurizi, «l’aspetto metafisico, mistico o quasi religioso e liturgico è nel DNA di molta musica progressiva degli anni Settanta all’estero come in Italia»; e ancora:
il prog assume a volte l’aspetto di una musica spirituale, quasi mistica, che invita a un viaggio interiore nella forma di rito pagano. Mette l’ascoltatore nelle condizioni di un’apertura mentale “verso un’altra verità. […] In un’altra realtà”[17]
In continuità con i fervori antimaterialistici e psichedelici predicati già dalla cultura beat, sono molti i gruppi progressive dell’epoca i cui testi manifestano un’esplicita vena spiritualista. In questo contesto Ys del Balletto di Bronzo incarna l’anima più dark e onirica: «tradotta in un linguaggio mistico, astratto ed esoterico», la vicenda cantata nell’album è concentrata nel «breve lasso di tempo in cui un uomo incontra dei personaggi che gli rivelano l’assoluta desolazione della sua esistenza, la morte di tutti e tutto prima che tale rivelazione non inghiotta anche lui in una notte senza futuro»[18].
2.3 Da ultimo, non è forse inappropriato riconoscere tra le liriche del disco un afflato di tipo gnostico. Si vedano a questo riguardo le prime due strofe di Introduzione, il brano di apertura:
La voce narrò
all'ultimo che
sul mondo restò,
la vera realtà.
E poi comandò
di andare tra i suoi
a dire la verità
e il gioco iniziò.
Una non meglio precisata voce avrebbe dunque trasmesso al protagonista una dottrina nascosta, un insegnamento segreto coincidente –niente meno– con la verità e in grado di svelare la vera realtà (il che implicherebbe che quella in cui si vive sia una finzione); e tutto questo con l’esplicito comando di andare tra i suoi a diffondere tale messaggio. Si ha quindi a che fare con una rivelazione divina, tramandata non attraverso l’esempio ma in maniera misteriosa; e, come si precisa subito dopo, ricevere tale consapevolezza comporta una certa sofferenza («Quella voce premeva nel petto / col dolore di cose capite»; «E la voce premeva nel petto / col dolore di cose vissute»); oltre all’urgenza di comunicarla al più presto («Doveva andar presto»).
Ora, tutto questo sembra rimandare allo gnosticismo, una dottrina antichissima che, complice la scoperta nel 1945 dei vangeli apocrifi di Nag Hammadi, ha conosciuto un certo successo nella seconda metà del ‘900. In particolare, come messo in luce recentemente da Paolo Riberi, è possibile ravvisare una diffusa presenza delle dottrine gnostiche in molte manifestazioni della cultura popolare (come cinema, musica e fantascienza): dai romanzi di Philip K. Dick (compresi i molti film da essi ricavati) alla musica heavy metal; da opere cinematografiche come la trilogia di Matrix, Fight Club, The Truman Show fino a serie televisive come Westworld e la terza stagione di Twin Peaks: dai fumetti della DC Comics (soprattutto quelli di Alan Moore e Grant Morrison) alle canzoni di Leonard Cohen[19].
Tuttavia, se il messaggio di verità di cui si parla in Ys consistesse –gnosticamente– in un perfezionamento spirituale finalizzato alla liberazione dell’uomo dalla prigionia del mondo terreno (che per gli gnostici è un «regno lugubre, corrotto e decadente, dove ogni cosa è soggetta al dolore e alla mortalità»[20]), è evidente il fallimento di questo proposito: non solo il protagonista è presentato sin dall’inizio come l’ultimo uomo rimasto sulla terra, ma i suoi tre “incontri” hanno come esito la sua progressiva e definitiva discesa negli abissi e quindi l’impossibilità di gridare la sua parola vera.
È comunque interessante osservare come il secondo incontro avviene con una figura chiaramente cristica:
E quel che vide fu un altro uomo
con quelle braccia stese in croce
senza sentire la sua voce
gli andò vicino e gli parlò.
E in quegli occhi senza luce
pungenti spine erano inflitte
sentì già sue quelle ferite
e poi la luce non fu più.
La circostanza per cui anche tale episodio ha sul protagonista solo ricadute negative potrebbe forse essere messa in relazione col fatto che, per quanto per gli gnostici Gesù sia –contrariamente al Dio del Vecchio Testamento– una figura positiva, tuttavia essi rifiutavano di riconoscere qualsiasi valore alla simbologia della crocifissione (che altro non sarebbe che «una messinscena orchestrata da Dio per ingannare i suoi nemici, senza nulla a che vedere con la reale salvezza dell’umanità»[21]).
Naturalmente si tratta solo di tracce, non certo sufficienti a fare del disco del Balletto di Bronzo un’opera di chiara ispirazione gnostica; anche perché, come si è visto, quello che si racconta in Ys è l’insuccesso della missione di svelamento di quella verità che avrebbe forse permesso la liberazione dell’umanità.
3. Joanna Newsom, Ys (Drag City, 2006)
3.1 Seconda prova discografica di Joanna Newsom (nata nel 1982), Ys è stato classificato tra gli album più interessanti degli anni Duemila. Composto da soli 5 brani di ampia durata ed elaborata architettura, è un disco che si caratterizza innanzitutto per collaborazioni di grande livello: la produzione di Van Dyke Parks, che è anche autore degli arrangiamenti orchestrali e direttore d’orchestra; Steve Albini in studio di registrazione; Jim O’Rourke al missaggio[22].
Il contributo di musicisti di questo spessore ben si addice all’ambizione che ha nutrito il lavoro di Joanna Newson (che dimostra qui una maturità sorprendente per una ventiquattrenne): in poco meno di un’ora Ys concentra infatti una profonda densità compositiva, sia a livello musicale che per quanto riguarda i testi. A sonorità in cui movenze folk s’intrecciano a sinuose pennellate orchestrali –il tutto accompagnato dalla magnetica e sgargiante voce della musicista californiana– corrispondono liriche torrenziali e ricche di preziosismi, metafore, termini arcaici e figure di suono[23]. Come ha scritto Michele Palozzo in una bella recensione in occasione del decennale dell’album:
Newsom si prodiga nell’avvolgere una densa matassa di locuzioni in disuso, ognuna delle quali ha però un preciso ruolo, se non di significato, quantomeno fonetico.
E ancora:
“Ys” vive sul contrasto tra l’ardente esplicitazione verbale e l’ermetismo dei sentimenti, in una selva di metafore, simbolismi e gomitoli lessicali che nemmeno anni di studi potrebbero delucidare fino in fondo.
3.2 Così come per Gianni Leone, anche nel caso di Joanna Newsom l’incontro con la leggenda di Ys è stato piuttosto casuale: alla ricerca di un titolo per il suo album, la musicista avrebbe dapprima ricevuto in sogno una visione delle due lettere Y e S, e successivamente si sarebbe imbattuta nel racconto dell’inabissamento della mitica città bretone citato all’interno di un romanzo fantasy. Quest’ultimo, oltre ad essere il libro preferito del suo miglior amico (la cui tragica e improvvisa scomparsa è uno dei temi che si riflettono lungo il disco), conteneva per di più un’espressione –«that damnable bell»– che sorprendentemente era presente anche in una delle nuove canzoni scritte da Newsom (Sawdust & Diamonds)[24].
La certezza di aver trovato il titolo giusto è stata poi rafforzata da altri parallelismi più generali con la storia di Gradlon e Dahut: basti pensare all’abbondante presenza di immagini acquatiche che attraversano i testi di Ys. Per esempio nel brano Emily, in cui Newsom si rivolge esplicitamente alla sorella minore (che accompagna la canzone con la sua voce), troviamo l’immagine di quest’ultima che fa rimbalzare sassi sul fiume e li guarda inabissarsi[25]; alla stessa è poi attribuito l’invito, rivolto alla sorella maggiore, ad abbandonare ogni preoccupazione “dove i rimorchiatori fendono in due l’acqua” («Leave your troubles here, / where the tugboats shear the water from the water»); e viene inoltre descritta come un marinaio che conduce la sua grande nave verso il mattino («As you sailed your great ship towards the morning»).
Anche il brano successivo, Monkey & Bear, presenta una scena di inabissamento: a conclusione di questo racconto fiabesco l’orsa Ursula scompare nel mare liberandosi –attraverso una specie di mutazione– delle varie parti del suo corpo. In questo caso, più che con la sommersione della città di Ys, si potrebbe ravvisare un parallelismo con la vicenda di Dahut: come si è ricordato, secondo una tradizione popolare la principessa, una volta abbandonata dal padre in balia delle onde, si sarebbe trasformata in una creatura marina[26].
La canzone che tuttavia offre maggiori agganci con la storia di Ys è certamente Sawdust & Diamonds, a partire dai riferimenti a una campana che, simboleggiando forse la morte, si vorrebbe gettare giù dalle scale e silenziare nelle profondità marine:
There’s a bell in my ears.
There's the wide, white roar.
Drop a bell down the stairs.
Hear it fall forevermore.
Drop a bell off of the dock.
Blot it out in the sea.
Drowning mute as a rock;
and sounding mutiny.[27]
Ma si tratta evidentemente di un suono che non si può zittire: proveniente da uno scafo, il rintocco di quella “dannata campana” continua imperterrito a farsi udire:
Then I hear a noise from the hull,
seven days out to sea.[28]
And it is that damnable bell!
And it tolls –well, I believe that it tolls– it tolls for me.
And it tolls for me.
L’associazione tra questa campana dai rintocchi inquietanti e il contesto marino può essere ricollegato, a posteriori, a un’altra delle tradizioni popolari connesse alla leggenda di Ys, ovvero l’idea che i pescatori della costa bretone possano ancora udire, nei giorni di mare calmo, il suono delle campane della mitica città sommersa dalle acque[29].
Ricchissima di metafore acquatiche è infine anche la quarta traccia di Ys, Only Skin, una suite di diciassette minuti nel cui testo si accumulano, come ha scritto Michele Palozzo, «sensazioni disordinate, come in un sogno lucido nel quale gli unici profili che si stagliano nitidamente sono quelli di due amanti che si stringono, a metà strada fra l’idillio e la tempesta»[30]. C’è davvero solo l’imbarazzo della scelta, tra aeroplani che calano sul mare come “balene spiaggiate” («And they were lowing and shifting like beached whales»), “ragnatele di alghe” avvolgenti come fasce («Webs of seaweed are swaddling»), “estuari di cera bianca [che] s’incamminano, infinitamente, verso coste non mappate” («estuaries of wax-white wend, endlessly, towards seashores unmapped»), e molti altri esempi. E c’è anche un passaggio che vede i due amanti decidere di affrontare le onde senza paura, fino a quando la marea non diventa troppo alta[31]: l’ennesima evocazione lungo il disco di uno scenario acquatico di sommersione[32].
3.3 Il titolo scelto da Joanna Newsom per il suo album ben si accorda dunque allo stile fortemente immaginifico dei testi: il richiamo al mito di Ys fornisce una cornice appropriata alle complesse trame ricamate dall’arpista americana, caratterizzate –oltre che dalla ricorrente simbologia acquatica– da immagini di perdita e abbandono[33].
A questo proposito, un altro elemento che contribuisce efficacemente all’immaginario evocato dai brani di Ys è senza dubbio la copertina, opera dell’artista californiano Benjamin Vierling:

Questo ritratto di Joanna Newsom in stile fiammingo rappresenta infatti un’efficace traduzione visiva della densità che si ritrova nelle canzoni del disco: ai termini desueti ed eruditi impiegati da Newsom, soprattutto in riferimento a piante e animali, fanno eco i molti elementi, tra il naturalistico e l’allegorico, riuniti nel lussureggiante dipinto di Vierling. Oltre a quello che vediamo sullo sfondo (tra le altre cose: un paesaggio fiabesco, un merlo con una ciliegia nel becco, una cortina rossa, il teschio di un cavallo appeso, un vaso di fiori su un trespolo), è soprattutto la figura in primo piano ad attirare la nostra attenzione: vestita con un abito medievaleggiante, una corona di fiori e spighe a cingerle la testa, Joanna Newsom è seduta su una sedia di legno decorata (che ricorda una savonarola) e tiene tra le sue mani due oggetti particolari: una falce scheggiata e una falena incorniciata. Come ha sottolineato Erik Davis, la falce è, alla pari del teschio di cavallo, un memento mori; e lo stesso dicasi delle falene, insetti notturni tradizionalmente associati all’aldilà: si tratta non a caso di soggetti ricorrenti in quel genere di natura morta tipico della pittura olandese del ‘600 noto come vanitas (a cui Benjamin Vierling si è rifatto in una specifica serie di sue opere).
Per di più proprio da un genere di falene prende il nome l’ultima traccia dell’album, Cosmia, brano in cui Joanna Newsom rievoca il dolore per la tragica perdita del suo migliore amico e si rivolge all’insetto notturno per riuscire a sostenere il peso del suo lutto («In the lissome light of evening: / Help me, Cosmia, I’m grieving»). E se all’inizio della canzone la protagonista teme quasi di essere sommersa dalle falene che la circondano («Moths surround me. / Thought they’d drown me»: ecco di nuovo la metafora dell’annegamento), nella parte conclusiva Cosmia sembra poter rappresentare un simbolo di speranza: attratta dalla luce artificiale del portico, la falena sorprendentemente devia verso il chiarore lunare e si libra nell’aria. Il brano si conclude così con la preghiera che la falena possa davvero indicare la via verso una “luce vera” contrapposta alla notte luttuosa:
well, if you’ve seen true light,
then this is my prayer:
will you call me, when you get there?[34]
E non è tra l’altro la prima volta che nel disco si invoca la luce in chiave salvifica: se in Emily la sorella di Newsom è descritta, tra le altre cose, come un sole in grado di bandire l’inverno («What they’ve seen is just a beam of your sun that banishes winter»), in Sawdust & Diamonds la luminosità è la via d’uscita dal terrore («So: enough of this terror. / We deserve to know light, / and grow evermore lighter and lighter»).
Contrariamente a Ys del Balletto di Bronzo, che terminava con il verso e buio fu, l’album omonimo di Joanna Newsom presenta nel finale una prospettiva di rinascita affidata ad un’immagine di luce. Da una rivelazione mancata a una rivelazione possibile: chi ha detto che, quando una città si inabissa, tutto è perduto?
NOTE
↑1 | Diversamente quindi dall’opera di Édouard Lalo Le Roi d’Ys del 1888 il cui libretto –scritto da Édouard Blau– rielabora la storia dell’inabissamento di Ys. Ispirati a questa leggenda sono anche il preludio per piano La Cathédrale engloutie (1910) di Claude Debussy, il brano Ys dell’arpista Alan Stivell (contenuto nell’album di grande successo Renaissance de la harpe celtique / Renaissance of the Celtic Harp del 1971) e la suite strumentale Douar Nevez (1977), opera del chitarrista bretone conosciuto come Dan Ar Braz. Cfr. Marie-Claire Mussat, La Ville d’Is et la musique, in La légende de la Ville d’Ys: une Atlantide Bretonne, Quimper, Musée départemental breton, 2002, pp. 55-69. |
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↑2 | L’idea che all’origine dell’inabissamento vi sia una colpa punita da una divinità si trovava già nella storia di Atlantide raccontata alla fine dell’incompiuto dialogo platonico Crizia: in questo caso a provocare l’ira di Zeus era l’incapacità dei governanti di resistere alla cupidigia e continuare a guidare l’isola in armonia. |
↑3 | Il garum, prodotto abbondantemente nella regione, era al centro di un florido commercio e faceva probabilmente parte dell’alimentazione di base delle truppe stanziate lungo le frontiere del Reno o dell’Inghilterra settentrionale: Patrick Galliou, La Ville d’Is e l’archéologie, in La légende de la Ville d’Ys cit., pp. 7-11, a p. 9. |
↑4 | Alla trasformazione di Dahut in una creatura marina si allude in alcune canzoni bretoni del XIX secolo: per esempio nel canto Livaden Geris pubblicato da Théodore Hersart de La Villemarqué nella seconda edizione (1845) della sua raccolta Barzaz Breiz (un’antologia i cui testi, come è stato appurato, sono stati in gran parte fabbricati da La Villemarqué stesso); o ancora in alcune versioni del celebre canto Roue Gralon ha Kear Iscomposto nel 1850 dal giovane seminarista Olivier Souêtre. |
↑5 | Charles Guyot ha in particolare aggiunto una serie di dettagli che, attribuendo a Dahut un’ascendenza fiabesca (sua madre sarebbe la regina del Nord Malgven), ricollega la vicenda alla mitologia nordica. |
↑6 | Cfr. La légende de la Ville d’Ys cit. Una delle pubblicazioni più recenti è la saga a fumetti –scritta da Jean-Luc Istin e disegnata da Dejan Nenadov– pubblicata in Italia col titolo di Ys, la leggenda (Milano, Mondadori Comics, 2015). |
↑7 | Come ricordato da Beppe Riva in occasione della recente ristampa in vinile dell’album, nello stesso 1972 facevano il loro debutto i due gruppi di maggior impatto –anche internazionale– del progressive italiano: la Premiata Forneria Marconi con Storia di un minuto e il Banco del Mutuo Soccorso con l’omonimo LP dalla celebre copertina a salvadanaio. Ys resterà l’ultimo disco del Balletto di Bronzo: dopo l’uscita dell’album il gruppo si trasferì in un casale nella campagna riminese ma non sopravvisse ad una vita sregolata fatta di eccessi (cfr. il racconto di Gianni Leone in Francesco Mirenzi, Rock progressivo italiano. Vol. 2: I gruppi: il racconto dei protagonisti, Roma, Castelvecchi, 1997, pp. 263-265). |
↑8 | Riccardo Storti, Fabio Zuffanti, Prog rock! 101 dischi dal 1967 al 1980, Roma, Arcana, 2016, p. 104. |
↑9 | F. Mirenzi, Rock progressivo italiano. Vol. 2 cit., p. 258. Di «incredibile mix di rock, classica contemporanea e free jazz» parlano Riccardo Storti e Fabio Zuffanti, i quali sottolineano anche i vari esperimenti sonori (come «distorsioni naturali» e «black-out elettrici») messi in atto da Leone con i diversi strumenti a tastiera utilizzati in sala di incisione: R. Storti, F. Zuffanti, Prog rock! cit., p. 105. |
↑10 | Si sarà trattato della storica Libreria Rotondi. |
↑11 | F. Mirenzi, Rock progressivo italiano. Vol. 2 cit., p. 260. |
↑12 | Leone ammette con sua sorpresa che Minellono, paroliere di cantanti nazional-popolari come Memo Remigi, Toto Cutugno, Adriano Celentano o i Ricchi e Poveri, «fece il testo ancora più dark di come l’avevamo concepito». |
↑13 | Riccardo Storti, New Trolls: dal pesto al sushi, Milano, Aereostella, 2008, p. 179. |
↑14 | Ibidem, pp. 58-59. Cfr. anche R. Storti, F. Zuffanti, Prog rock! cit., p. 106, nota 3. La parallela esperienza di Daina Dini come paroliera dei New Trolls è ricordata anche dallo stesso Gianni Leone in questa interessantissima intervista del 2013 concessa a Radio Roarr (al minuto 28:33). |
↑15 | Cfr. Ibidem, p. 58: «Ultimo atto all’alba della scissione ufficiale, benché tra i solchi siano già ben evidenti le divisioni interne. Su tutte la defezione di Vittorio De Scalzi, presente in line-up per questioni contrattuali ma, in realtà, attivo con la sua chitarra Leslie solo in un brano. L’album vede già una sorta di sbilanciamento verso il gusto hard di Di Palo, ma anche in direzione del convinto apporto classico di Maurizio Salvi. È il primo passo di un sound mutante che si evolverà in Canti d’innocenze canti esperienza, per consolidarsi (a mille anni luce dallo stile New Trolls) in Sun Supreme degli Ibis». |
↑16 | Nella già citata intervista a Radio Roarr del 2013 così si esprime Gianni Leone (minuto 28:37): «[Daina Dini] buttò già la prima stesura dei testi di Ys ispirandosi un po’ anche al mio modo di essere, a quello che mi piaceva in quel periodo, appunto l’esoterismo e tutte quelle cose là». Tracce “esoteriche” non si ritrovano invece nei testi dei New Trolls/Ibis a cui collaborò Daina Dini. |
↑17 | Baptiste Le Goc, Marco Maurizi, Musica per il pensiero: filosofia del progressive in Italia, Roma, Mincione, 2017 (Capitolo Introduzione, Paragrafo 1. La filosofia del prog italiano–L’apertura mentale e spirituale. La citazione finale è tratta dal brano Appena un po’ della Premiata Forneria Marconi). Ciò non toglie che la scena progressive italiana abbia avuto anche un importante filone materialistico in cui la musica si faceva veicolo di lotta politica: si pensi a gruppi come il Banco del Mutuo Soccorso e –soprattutto– gli Area (B. Le Goc, M. Maurizi, Musica per il pensiero cit., Capitolo La musica come forma di lotta politica). |
↑18 | B. Le Goc, M. Maurizi, Musica per il pensiero cit., Capitolo Nichilismo, pessimismo, esistenzialismo, Paragrafo 1.L’anima nera del prog italiano–Lo sguardo del prog nell’abisso. |
↑19 | Paolo Riberi, Il serpente e la croce, Torino, Lindau, 2021. Più specificamente dedicato ai rapporti tra Gnosi e cinema era un precedente saggio dello stesso autore: Pillola rossa o loggia nera?, Torino, Lindau, 2017. |
↑20 | P. Riberi, Il serpente e la croce cit., Capitolo 2. Gli gnostici e i vangeli apocrifi, Paragrafo 2.1 Un universo dualistico. Si vedano anche le seguenti considerazioni tratte dallo stesso paragrafo: «il regno della materia […] non è soltanto una dimensione corrotta e illusoria, ma rappresenta anche e soprattutto una prigione virtuale in cui l’uomo è condannato a ripetere ciclicamente le proprie esperienze, senza trarne alcun beneficio»; «l’obiettivo finale dell’iniziato era riuscire, al termine della propria vita terrena, a liberare il proprio io spirituale da ogni legame con il mondo terreno, sfuggendo così al Demiurgo, agli Arconti e al ciclo della reincarnazione, per ricongiungersi con Dio nel regno dello Spirito». |
↑21 | P. Riberi, Il serpente e la croce cit., Capitolo 1. Introduzione, Paragrafo 1.1 Il serpente e la croce, nota 17. Il titolo del saggio di Riberi oppone alla simbologia della Croce quella del Serpente, animale considerato sacro da molte sette gnostiche (le quali attribuivano un valore positivo anche alla figura di Eva, vista come liberatrice dalla prigionia creata da Yahweh). |
↑22 | E si consideri anche la partecipazione di Bill Callahan, all’epoca compagno di Newsom, che presta la sua voce alla quarta traccia del disco Only Skin. |
↑23 | «Evocative and sometimes piercingly tender, her lyrics also reflect an almost obsessive attention to old-school poetic stuff like consonance, alliteration, prosody, and internal rhymes» (Erik Davis,“Nearer the Heart of Things”: Erik Davis profiles Joanna Newsom, «Arthur», 2/2006). |
↑24 | Queste informazioni si ricavano da un lungo e interessante articolo –che è sia una chiacchierata con Joanna Newsom sia un’approfondita analisi del suo album– realizzato dal musicologo e studioso di esoterismo e controcultura californiana Erik Davis: “Nearer the Heart of Things” cit. Dalla citazione relativa a Ys riportata in quest’articolo si può risalire al romanzo a cui si riferisce Newsom: si tratta di The Mists of Avalon (Le nebbie di Avalon) pubblicato nel 1983 dalla nota autrice americana di narrativa fantastica Marion Zimmer Bradley. |
↑25 | «And Emily, I saw you last night by the river. / I dreamed you were skipping little stones across the surface of the water – / frowning at the angle where they were lost, and slipped under forever». |
↑26 | Un passaggio di questa canzone –«Bear ploughed. / Because she would not drown» (“L’orsa solcava [il mare]. / Poiché non sarebbe annegata”)– sembra contenere anche un’allusione di tipo astronomico: in inglese The Plough (“L’aratro”) è un altro nome del Big Dipper (“Il Grande Carro”), ovvero un asterismo di sette stelle appartenenti alla costellazione di Ursa Major (“Orsa Maggiore”); e il nome dell’orsa protagonista della storia è Ursula. L’astronomia è un tema centrale del brano di apertura dell’album, Emily, in cui Newsom rievoca attraverso termini tecnici sia gli insegnamenti del padre, astronomo dilettante, sia quelli della sorella astrofisica (cfr. E. Davis: “Nearer the Heart of Things” cit.). Già il primo disco di Newsom, The Milk-Eyed Mender (2004), conteneva inoltre un brano intitolato a una costellazione: Cassiopeia. |
↑27 | Al motivo della campana si può collegare anche un verso della stessa canzone in cui si cita un campanile che “brucia in alto”: «and the holiest belfry burns sky-high». |
↑28 | Il numero sette ritorna nell’ultimo brano dell’album, Cosmia: «Why’ve you gone away. / Seven suns away» (un verso che potrebbe contenere un riferimento al Sermone dei sette soli buddista). |
↑29 | Sempre secondo questa tradizione, i giorni di tempesta sarebbero al contrario propizi per poter vedere le guglie delle chiese di Ys; a questo riguardo si consideri un passaggio del brano Emily in cui Newsom parla dell’effetto della luce del sole che fa uscire dalle tenebre proprio le guglie delle chiese («There is a rusty light on the pines tonight; sun pouring wine, lord, or marrow, / into the bones of the birches, and the spires of the churches, jutting out from the shadow»). |
↑30 | A proposito di questo brano, l’ultimo del disco ad esser stato composto, si veda questa dichiarazione di Newsom: «It was an attempt to encapsulate everything, and to find some measure of grace» (cfr. E. Davis: “Nearer the Heart of Things” cit.). |
↑31 | «Though we felt the spray of the waves, we decided to stay, ‘till the tide rose too far. / We weren’t afraid, cause we know what you are; and you know what we know what you are». Un riferimento al progressivo aumento del livello dell’acqua si trovava anche precedentemente nella stessa canzone: «And the shallow water stretches as far as I can see. / Knee deep, trudging along». |
↑32 | A questo proposito si osserva che il motivo dell’inabissamento si ripresenta nel più recente disco di Joanna Newsom intitolato –per l’appunto– Divers (“sommozzatori”): nella title track la voce narrante paragona il suo amore ad un cacciatore di perle. |
↑33 | Come dichiarato da Newsom (cfr. E. Davis: “Nearer the Heart of Things” cit.), ad influenzare i testi di Ys è stato soprattutto il dolore causato dall’improvvisa scomparsa del suo migliore amico (rievocata in particolare nell’ultima canzone dell’album, Cosmia); ma, oltre a questa, alla base di Ys ci sarebbero altre due gravi perdite: «There were two major losses and the knell, the ringing knell of another loss which is continuing, an illness basically». |
↑34 | Si veda invece il ritornello in cui la “notte” è metafora dell’angoscia: «Now in the quiet hour, when I am sleeping / I couldn’t keep the night from coming in»/ «Now in the quiet hour, when I am sleeping / I cannot keep the night from coming in». |
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