“QUESTA NON È L’USCITA”: “American Psycho” e le sue traduzioni italiane (da Pier Francesco Paolini a Giuseppe Culicchia)

LETTERATURA, FILOLOGIA E TRADUZIONE

1. Sono trascorsi trent’anni da quando, nella primavera del 1991, uscì per la Vintage Books American Psycho di Bret Easton Ellis, un romanzo per il quale non sembra inopportuna l’abusata definizione di “epocale”. Com’è noto, il libro di Ellis fu al centro di una delle più feroci polemiche della letteratura americana: la violenza estrema di alcuni passaggi attirò infatti sul suo autore accuse di misoginia accompagnate da inviti al boicottaggio del romanzo (la cui pubblicazione era stata bloccata all’ultimo– nonostante gli anticipi già pagati– dalla casa di editrice di Ellis, la Simon&Schuster).
Ma, al di là della sua ricezione, “epocale” American Psycho lo è per la sua capacità di raccontare un’epoca: non solo quella degli yuppies newyorkesi della seconda metà degli anni ’80, ma anche quella attuale. Come hanno evidenziato diversi critici[1], il sadismo paranoico di Patrick Bateman funzionerebbe come metafora allucinata della spietatezza del tardocapitalismo, fornendo una rappresentazione vivida di quegli stati patologici tipici dell’uomo occidentale contemporaneo: schiavitù consumistica, edonismo salutista, ossessione per l’apparenza, paura dell’invecchiamento, auto-sfruttamento, onanismo emotivo, invidia come molla sociale, irrequietezza e incapacità di attenzione profonda. Ecco allora che le pagine che descrivono le gesta da serial killer del protagonista, e che hanno attirato l’indignazione dei censori, possono ancora funzionare come una scossa alle nostre coscienze di consumatori ipnotizzati dall’assenza di alternative. D’altra parte il carattere profetico di American Psycho è stato riconosciuto dallo stesso Ellis, che nel 2016 sottolineava come il vuoto consumistico e l’alienazione che aveva descritto nel suo romanzo fossero diventati ancora più attuali in una società sempre più narcisistica e che presenta gli stessi tratti –persino più esasperati– di quella di fine anni ’80.
Parlare di American Psycho significa allora parlare di un’opera che conserva intatta la sua vocazione politica, una componente che non si presenta come denuncia esibita o satira moralistica ma –ed è questa la sua forza– introiettando mimeticamente l’oggetto stesso della sua critica. Proprio per questo non costituisce una contraddizione né sorprende il fatto che il romanzo sia diventato, esso stesso, un oggetto di consumo; né che abbia incontrato un grande successo proprio presso quella classe di maschi bianchi e privilegiati di cui rappresentava il nichilismo e il conformismo spersonalizzante. E la recente trasposizione di American Psycho in un musical di Broadway sembra per così dire replicare quanto successo a Les Misérables: nel romanzo di Ellis si cita infatti spessissimo la commedia musicale che, depotenziando il nucleo critico dell’opera di Victor Hugo e trasformandolo in innocuo intrattenimento, rappresenta bene le capacità fagocitanti del capitalismo di cui parlava già Marcuse[2].

2. I trent’anni dalla pubblicazione non sono l’unica cifra tonda riguardante il romanzo di Ellis in questo 2021; esattamente vent’anni fa usciva infatti, per Einaudi, la versione italiana di American Psycho ad opera di Giuseppe Culicchia. 
Quasi coetaneo di Ellis, Culicchia ha sempre espresso una grande ammirazione verso l’autore losangelino, un elemento che ha evidentemente contribuito all’efficacia del suo lavoro di traduzione[3]. Peccato che lo stesso giudizio lusinghiero non si possa esprimere a proposito della cura editoriale del volume, stante i non pochi refusi che vi si trovano[4].
La bontà della versione di Culicchia emerge, a maggior ragione, se confrontata con la precedente traduzione italiana realizzata per Bompiani nel 1991 da Pier Francesco Paolini (1928-2015). Traduttore dall’inglese di classici del ‘900 (come Joseph Conrad, Philip Roth, Saul Bellow, Truman Capote, Jack London, Anthony Burgess, Vladimir Nabokov), e autore in proprio, Paolini ha dato di American Psycho una versione che –forse anche per la distanza anagrafica che lo separava da Ellis– risulta insoddisfacente da molti punti di vista. Per esempio, Paolo Nori ha più volte ironizzato sull’idiosincrasia per le ripetizioni che avrebbe condotto Paolini ad utilizzare nella prima pagina del romanzo ben tre diversi sinonimi –tra cui l’arcaico «torpedone»– per l’originale «bus»[5]. Ma, oltre a questo, si trovano nella versione di Paolini molti dei vizi tipici delle traduzioni eccessivamente addomesticanti: uso di equivalenti italiani per anglicismi che –come shoppingclub hot dog– erano certamente già entrati in italiano nel 1991[6]; tendenza all’esplicitazione[7], alla modifica[8] o all’impiego di iperonimi[9] in corrispondenza di referenti ritenuti poco trasparenti per il lettore italiano; eliminazione di passaggi giudicati non rilevanti (il che succede spesso nei tre capitoli dedicati all’analisi dettagliata delle discografie dei Genesis post-Peter Gabriel, di Whitney Houston e di Huey Lewis and the News)[10]. A ciò si aggiunge la frequente attenuazione del turpiloquio[11].
D’altra parte basta confrontare il primo paragrafo delle due traduzioni per constatare quanto Culicchia si prodighi –con ottimi risultati– per riprodurre il ritmo del testo originale, ritmo che è invece spezzato da Paolini attraverso l’introduzione di punti in quella che Ellis aveva concepito come un’unica frase[12].

3. Un altro merito di Culicchia è l’aver riprodotto, dandone una versione italiana plausibile, i fraintendimenti ricorrenti nei dialoghi del romanzo. Ad esempio, durante una scena comica in cui il protagonista tenta di accoppiarsi con la fidanzata di un suo collega di nome Luis, la confusione tra «Luis is a despicable twit» e «Is it a receptacle tip» è resa con «Luis è una puttana un servo di troia» e «Lui usa la punta a serbatoio» (C, p. 131)[13]. Oppure quando Bateman confessa a una ragazza di occuparsi di «murders and executions» e lei capisce «mergers and acquisitions», Culicchia traduce il malinteso con «omicidi ed esecuzioni» e «topicidi e disinfestazioni» (C, p. 263)[14]. O ancora il fraintendimento tra «Damien. You’re Damien» e «Nice tan» reso con «Damien, sei tutto sudato» e «Diamine […] Sei bello abbronzato» (C, p. 294)[15]. E lo stesso dicasi per giochi di parole, come quello tra «And he’s dressed to impress» e «I’m depressed, I mean impressed» (che diventa «È anche tutto in tiro» e «A me di sicuro non tira»: C, p. 52[16]); quello tra il nome «Hugh» e i pronomi «You» e «Who» (che Culicchia riproduce cambiando il nome proprio in «Keith» e giocando con «Chi» e «Kilt»: C, p. 71[17]); quello tra «cranberry juice» e «cranapple juice» (che in traduzione è reso con «succo di mirtillo, di mirto»: C, p., 106[18]); o quello tra «clam» e «calm» (in italiano «calvo» e «calmo»: C, p. 297) [19].
L’impegno di Culicchia a trasferire nella lingua di arrivo questi travisamenti è maggiormente da apprezzare dato che essi non introducono solo una quota di umorismo grottesco ma hanno a che fare con alcuni dei temi centrali del romanzo, come l’intercambiabilità dei personaggi e la confusione che caratterizza soprattutto il protagonista. A quest’ultimo accade infatti spessissimo di essere scambiato per altre persone, così come molte volte è lui stesso a non riconoscere l’identità degli yuppies di Wall Street che incontra (i quali, d’altra parte, essendo tutti vestiti allo stesso modo, condividendo gli stessi atteggiamenti e rubandosi le fidanzate a vicenda, risultano effettivamente indistinguibili). E, allo stesso tempo, i malintesi ben si accordano con l’alto tasso di assurdo onirismo che contraddistingue molti dei dialoghi e delle situazioni di American Psycho, compresi gli atti di violenza di Bateman che –malgrado le sue ammissioni– rimangono ignorati e impuniti[20]
È d’altra parte lo stesso protagonista a domandarsi, più di una volta, se non stia sognando[21]: un interrogativo da affiancare ai passaggi in cui Bateman si rivolge direttamente al lettore denunciando il carattere finzionale delle sue vicende [22]. E alcuni dettagli sparsi lungo il romanzo mostrano l’inattendibilità di Bateman quale narratore: per esempio quando parla di un loft nel quartiere di Hell’s Kitchen dicendo prima di averlo «affittato» (C, p. 274; «rented») e poco dopo di averlo invece «comprato» (C, p. 280; «I own»). O quando commette errori grossolani in ambito musicale: per esempio sbagliando i nomi di due componenti dei Genesis [23], storpiando il titolo del primo album di Elvis Costello (da My Aim is True a My Aim Was You: C, p. 455)[24], dimostrando di non conoscere il noto cantante country degli anni ’40 Hank Williams (C, p. 459), o attribuendo la canzone You Can’t Always Get What You Want ai Beatles invece che ai Rolling Stones (C, p. 479). 

4. La traduzione di Culicchia si segnala anche per una certa creatività a livello lessicale, come dimostrano alcuni calchi dall’inglese: “scannerizzare” (corrispondente a “to scan”) nel senso di “dare un’occhiata, osservare, perlustrare”; “caricare” (da “to pick up”) col significato di “rimorchiare”; “corpoduro” (da “hardbody”) usato già da Paolini come apprezzamento maschilista verso l’altro sesso. E, benché presente in un’unica occorrenza, interessante anche “proiettare” (da “to project”) nel senso –non inedito in italiano ma certamente insolito in ambito non psicanalitico– di “attribuire agli altri comportamenti e desideri che non si riconoscono come propri”[25]
L’uso di questi neologismi si accompagna alla mancata resa dell’inglese “to realize” con “realizzare” (a cui sono costantemente preferiti i verbi “capire”, “rendersi conto”, “accorgersi”): così facendo Culicchia ha probabilmente voluto rifiutare una neosemia certamente già entrata in italiano all’epoca della sua traduzione ma percepita forse come una routine traduttiva da evitare. A proposito di quest’ultimo aspetto, nella versione italiana di American Psycho si trovano tuttavia alcune forme piuttosto ricorrenti nel “doppiaggese”, ovvero quella varietà artificiosa di italiano tipica dei film doppiati dall’inglese[26]. Si vedano i seguenti esempi di interferenze e calchi:

  • «voglio dire» (circa quaranta occorrenze) per tradurre «I mean», a fronte di una decina di casi in cui Culicchia preferisce «cioè» (certamente più naturale in italiano). Quest’ultima scelta è di gran lunga prediletta da Paolini (nella cui versione troviamo anche «cioè, voglio dire» e «voglio dire, cioè»);
  • la struttura interrogativa «non è vero?» (8 occorrenze) a rendere la tag question inglese (il che produce un’«alterazione della valenza pragmatica di questa risorsa, che in italiano determina una maggiore assertività rispetto al testo fonte»[27]). Anche in questo caso la traduzione di Paolini, che evita quasi sempre questo costrutto, risulta più naturale;  
  • «assolutamente» usato in un paio di casi (C, pp. 116, 354; la prima occorrenza figurava già nella traduzione di Paolini) come risposta affermativa a tradurre l’inglese «absolutely»;

  • un caso di «Posso aiutarla?» (C, p. 475) in corrispondenza dell’inglese «Can I help you?». Ancora una volta la scelta di Paolini («Che cosa desidera?»: P, p. 403) risulta meno artificiosa nella lingua di arrivo. 

A questi esempi si può aggiungere anche la seguente frase «Ma questo non è quello che avevo ordinato» (C, p. 59; «But this isn’t what I ordered»): in italiano la «compresenza, nella stessa frase, di due pronomi dimostrativi, uno di prossimità e uno di lontananza»[28] risulta alquanto innaturale e comunque di registro piuttosto formale.

Ora, si potrebbe osservare che queste scelte traduttive che richiamano l’italiano doppiato non risultano forse inappropriate in un’opera che –come si è già detto– presenta dialoghi caratterizzati da un forte tasso di assurdità grottesca. Per di più il protagonista-narratore di American Psycho, consumatore abituale di film erotici, descrive molto spesso quanto gli accade in termini cinematografici; è lui stesso ad ammetterlo: 

Sono talmente avvezzo a immaginarmi ogni cosa come succede nei film, a visualizzare la realtà come una serie di eventi che prendono forma sullo schermo, che mi sembra di sentire il commento musicale, e di vedere una cinepresa fare una panoramica dal basso, con i fuochi artificiali che esplodono al rallentatore sopra le nostre teste, l’immagine a settanta millimetri delle sue labbra che si aprono e il successivo sussurro: –Ti voglio–, in Dolby Stereo. (C, p. 339)[29]

5. Mentre la traduzione di Paolini vi aveva rinunciato, quella di Culicchia si sforza di conservare l’uso tipografico del corsivo con cui, nel testo originale, sono stampate quelle parole pronunciate (o, nel caso del protagonista, anche solo pensate) con una certa intonazione enfatica. Si tratta di un tentativo lodevole di conservare nella traduzione una caratteristica importante del testo inglese; tuttavia è spesso molto meno semplice da realizzarsi di quanto sembri, dato che, evidenziando anche in traduzione le stesse parole dell’originale, si corre il rischio di mettere in risalto elementi che in italiano difficilmente potrebbero ricevere un’enfasi intonativa[30]. È un problema di cui la versione di Culicchia si dimostra consapevole, anche se rimangono alcune incoerenze. Si consideri, per esempio, il primo caso che incontriamo nel romanzo:

– Sono un tipo pieno di risorse, – sta dicendo Price. – Creativo, giovane, senza scrupoli, supermotivato, superqualificato. In sostanza sto dicendo che questa società non può permettersi di perdermi. Sono una risorsa, io–. (C, p. 3)
[“I’m creative, I’m young, unscrupulous, highly motivated, highly skilled. In essence what I’m saying is that society cannot afford to lose me. I’m an asset]

Come si vede, il testo italiano decide saggiamente di stampare in corsivo non solo «non» ma anche il verbo «può»: è infatti proprio sul verbo che, diversamente da quanto accade nel testo inglese, cade l’enfasi intonativa. Il corsivo che invece compare alla fine della frase per evidenziare la parola «asset» non è mantenuto in traduzione, dove però è stato aggiunto il pronome personale «io»: si tratta di una soluzione pienamente convincente, anche se ci si può chiedere se non era il caso di utilizzare anche il corsivo per dare ulteriore enfasi al pronome. Tra l’altro nemmeno qualche riga più avanti si ritrova il corsivo a evidenziare il pronome «io»:

«tutti odiano il loro lavoro, io odio il mio lavoro, e tu mi hai detto che odi il tuo»; è una scelta difficile da spiegare, dato che il corsivo figurava invece nel testo inglese («everybody hates their job, I hate my job, you’ve told me you hate yours»).

E, limitando l’analisi al primo capitolo di American Psycho, accanto a non pochi casi in cui – senza un apparente ragione – il corsivo non è stato mantenuto in italiano, ve ne sono altri in cui un’eccessiva aderenza al testo di partenza non risulta pienamente soddisfacente. Si consideri per esempio il seguente passaggio, dove i tre corsivi del testo inglese sono riprodotti esattamente nella traduzione:

ma mi piace anche l’idea che non lo so, che non lo saprò mai, che non le chiederò mai da dove viene tutta questa roba (C, p. 14)
[but I also like the idea that I don’t know, will never know, will never ask where it came from]

Nel primo e nel terzo caso sarebbe forse stato preferibile mettere in risalto qualche parola in più rispetto al testo originale: come il verbo («non lo so») e l’avverbio di tempo («non le chiederò mai»). Detto questo, non mancano esempi, oltre a quello iniziale, in cui la versione italiana propone una soluzione innovativa: 

– Ha una striatura verde tra i capelli, – dico loro. – E fuma. (C, p. 13)
[“She’s got a green streak in her hair,” I tell them. “And she’s smoking.”]     

Patrick, toglimi il tuo amico di dosso. (C, p. 25)
[Patrick, get your friend away from me.]

6. Da ultimo, un altro elemento adoperato da Ellis a scopo enfatico è l’uso del trattino tra le parole di una frase ad indicarne la pronuncia scandita (il che accade quando i personaggi si esprimono con un tono irritato, rabbioso, sorpreso o sarcastico). La traduzione di Culicchia, contrariamente a quella di Paolini, riproduce questo tratto:

Se-non-chiudi-quella-cazzo-di-bocca-ti-ammazzo-mi-capisci-sì-o-no? (C, p. 105)
[“If-you-don’t-shut-your-fucking-mouth-I-will-kill-you-areyou-understanding-me?”]

Perciò-sii-riconoscente-perché-ti-sto-avvertendo (C. p. 378)
[So-be-thankful-I-am-warning-you]

La proposta è controversa! – urla McDermott. – Perché, mi chiederete? Perché-ormai-ha-chiuso! E-dato-che-è-chiuso-non-accetta-piú-prenotazioni! Mi-state-seguendo? (C, p. 415)
[“That suggestion is moot!” McDermott screams. “Why, you may ask? Because-theyare-closed! Because-they-are-closed-they-havestoppedtakingreservations! Are-youfollowing-this?”]

Mi hai dato appuntamento qui, ecco che-cosa-ci-faccio […] Avvertirmi-di-cosa? […] Chi-cazzo-è-Jeanette? – mi sibila piano. […] Non-ci-divertiamo-affatto. […] Perché-Jeanette-è-qui-con-me-e-vuole-telefonare-lei (C, pp. 416-417)
[“You said you’d meet me here, that-is-what” […] “Forgot-to-tell-me-what?” […] “Who-in-the-hell-is-Jeanette?” she hisses calmly. […] “No-we-are-not.” […] “Because-Jeanette-is-behind-me-and-wants-to-use-it”]

– Un momento, Harold. A-che-cosa-ti-riferisci? – ripeto enfaticamente (C, p. 501)
[“But wait, Harold. What-do-you-mean?” I repeat emphatically.]

Io-ho-ammazzato-Paul-Owen-e-mi-è-piaciuto-farlo (C, p. 502)
[I-killed-Paul-Owen-and-I-liked-it]

Brutto-figlio-di-puttana. (C, p. 507)
[You son-of-a-bitch]

Come per l’uso del corsivo, la versione di Culicchia conserva dunque una caratteristica tipografica del testo originale che, risultando eccentrica rispetto alle convenzioni dell’italiano, era stata eliminata nella traduzione addomesticante di Paolini. 

NOTE

NOTE
1 Ruth Heyler, Parodied to Death: The Postmodern Gothic of American Psycho“, «Modern Fiction Studies» n° 46/3 (fall 2000), pp. 725–746; Julian Murphet, Bret Easton Ellis’s America Psycho: a Reader’s Guide, New York, Continuum, 2002; Georgina Colby, Bret Easton Ellis: Underwriting the Contemporary, Palgrave Macmillan US, 2011, cap. II: An Inner Critique: Commodity Fetishism, Systemic Violence, and the Abstract Mutilated Subject in American Psycho, pp. 59-94; Ead., Repressive desublimation and the great refusal in Bret Easton Ellis’s fiction, «Textual Practice» n°26/2 (2012), pp. 319–345; John Paul Rollert, The savage ethics of “American Psycho”, review.chicagobooth.edu, 8/11/2016. Per un’interpretazione più sottile, che legge American Psycho anche attraverso due opere successive di Ellis (Lunar Park Bianco), cfr. Cristina Savettieri, Immoralismo e angosce mimetiche: il caso di Bret Easton Ellis, in «Allegoria» n°80/2 (2019), pp. 12-36. Letture del romanzo in chiave postmoderna sono quelle offerte da Michael P. Clark (Violence, Ethics, and the Rhetoric of Decorum in American Psycho) e Elana Gomel (“The Soul of this Man in his Clothes”: Violence and Fashion in American Psycho) in Bret Easton Ellis: American Psycho, Glamorama, Lunar Park, ed. by Naomi Mandel, Bloomsbury, London 2010, pp. 19-35 e 50-64.
2 E cfr. Mark Fisher, Realismo capitalista, Roma, Nero, 2018, p. 33: «il capitalismo è molto simile alla Cosa del film di John Carpenter: un’entità mostruosa, plastica e infinita capace di metabolizzare e assorbire qualsiasi oggetto con cui entra in contatto».
3 Culicchia ha in seguito tradotto altre tre opere di Ellis: Lunar ParkImperial Bedrooms e Bianco.
4 «le toilette» (p. 202); «gà» per «già» (p. 234); «Abbound» invece del corretto «Abboud» (pp. 80, 149, 275, 280, 421); «Quanto» per «Quando» (p. 309); «Afanasief» per «Afanasieff» (p. 326); «Tori» invece di «Torri» (p. 389); «Angelis» per «Angelic» (p. 389); «così devo a pugnalarla alla gola»(p. 390); «trazione intergale» (p. 450); «Give Me The Key» per «Give Me the Keys» (p. 462); manca un “non” in «perciò non è che me ne freghi» (corrispondente a «so it’s not like I don’t care») (p. 485); «DeRiguerur» per «De Rigueur» (p. 505). Frutto di una svista parrebbe anche il mantenimento del titolo inglese per il capitolo chiamato “Chase, Manhattan” (p. 446): benché più avanti (a p. 512) si citi un’azienda denominata “Chase Manhattan”, qui “Chase” è senza dubbio un nome comune da tradurre con “inseguimento” (il capitolo descrive infatti il pedinamento di Patrick Bateman da parte di una pattuglia della polizia a Manhattan). Inoltre a p. 172, nel capitolo dedicato ai Genesis, lo storpiamento –voluto– dei nomi di due componenti della band (Tony Banks e Mike Rutherford, che diventano Mike Banks e Tom Rutherford) è mantenuto solo per il primo. Tutte le citazioni sono tratte da Bret Easton Ellis, American Psycho, tr. it. di Giuseppe Culicchia, Torino, Einaudi, 2001 (d’ora in poi C). 
5 In realtà i sinonimi usati da Paolini sono solo due: «autobus» e «torpedone» (mentre non c’è traccia del terzo, «corriera», citato da Nori). Basta comunque spostarsi dal primo al secondo paragrafo del testo per avere un’altra prova di questa tendenza: «Cioè, voglio dire, resta il fatto che non gliene frega un tubo a nessuno del proprio lavoro: tutti odiano il loro mestiere. Io lo odio, il mio impiego» (Bret Easton Ellis, American Psycho, tr. it. di Pier Francesco Paolini, Milano, Bompiani, 2001 [d’ora in poi P], p. 9; nel testo originale figuravano «work», «job» e ancora «job»; Culicchia usa qui unicamente «lavoro»).
6 Si veda la resa di «hot dogs» con «salsicciotti» (P, p. 11) o la traduzione dei titoli di capitolo «Yale Club», «Shopping» e «New Club» con «Circolo Yale» (P, p. 176), «In giro per negozi» (P, p. 201) e «Un nuovo locale notturno» (P., p. 424), rispettivamente. Sempre a proposito delle intitolazioni dei capitoli, nella versione di Paolini «The Best City for Business» diventa il molto più esplicito (dal punto di vista del contenuto) «Ritorno sul luogo del delitto».
7 Si vedano, nel primo paragrafo del romanzo, l’aggiunta delle precisazioni «a New York» e «in versione Broadway» nelle seguenti frasi: «presso l’incrocio fra l’Undicesima Strada e la Prima Avenue, a New York» e «Il torpedone reca sulla fiancata l’invito ad assistere ai Misérables in versione Broadway» (P, p. 9).
8 Si veda un riferimento alla lingua persiana («Farsi») che diventa «spagnolo» (P, p. 64), o la traduzione di «bacon», che Culicchia lascia inalterato, con «lardo» (P, p. 306). Esempio interessante è la trasformazione di una citazione da Bob Marley («and then, with less enthusiasm, “We be, uh, jamming..”») in un’allusione a Harlem («borbotto qualche altra frasetta accattivante, nel dialetto di Harlem»: P, p. 224); Culicchia è come sempre fedele al testo originale, anche se qui esplicita il nome del musicista giamaicano: «e poi, con meno entusiasmo, accenno un verso di Bob Marley: -We be, uh, jamming…» (C, p. 255). O si consideri ancora laddove di un tassista si afferma che «Potrebbe essere oriundo del Nordafrica o del Medio Oriente» (P, p. 429) mentre nel testo originale si diceva che il suo accento «could easily be either New Jersey or Mediterranean».
9 Ad es. «giornale» (P, pp. 36 e 411) al posto di «USA Today» e «The Times».
10 E chissà per quale ragione nella versione di Paolini il giudizio negativo («thin, vapid») che Patrick Bateman dà di un disco di Elvis Costello (per lo più storpiandone il nome: infra) è ribaltato nell’entusiastico «stupendo» (P, p. 390). Tale modifica si accompagna d’altra parte, subito dopo, all’omissione di un periodo in cui è ribadita l’opinione non lusinghiera del protagonista verso Costello («Elvis potrà anche credere che testi e musiche intellettualoidi siano altrettanto importanti che il puro e semplice divertimento capace di stemperare con il buonumore qualsiasi cinismo, ma mi chiedo che cosa provi constatando quante copie in più vendono i dischi di Lewis rispetto ai suoi»: C, p. 455). Ma moltissimi sono i passaggi di questo capitolo, dedicato alla band Huey Lewis and the News, che la versione di Paolini tralascia.
11 Ad es. «Mannaggia, mannaggia, mannaggia» (P, p.13) per rendere «Damn, damn, damned» (cfr. «Cazzo, cazzo, stracazzo»: C, p. 8); o «un fiero mal di testa» (P, p. 392) per «a fucking big headache» (cfr. «uno stracazzo di mal di testa»: C, p. 463); o ancora «”Ma va’ là!” dice qualcuno» (P, p. 437) per «”Bimbo, bimbo,” someone says. “Bypass, bypass.”» (cfr. «– Puttana, puttana, – dice qualcuno. – Ormai sei andato, sei andato.»: C, p. 514).
12 Sull’importanza per i traduttori di rendere, anche in prosa, il ritmo del testo originale cfr. Daniele Petruccioli, Le pagine nere: appunti sulla traduzione dei romanzi, Roma, La Lepre Edizioni, 2017, pp. 135-136, 162-196.
13 Decisamente meno efficace la scelta di Paolini che optava per «Luis è sputtanato e stronzo»/«Luis è stronzo ed è molto sputtanato» e «Ha la punta a serbatoio» (P., p. 118).
14 La traduzione letterale di Paolini («omicidi ed esecuzioni capitali» e «ramo acquisizioni e fusioni»: P, p. 231) fa venir meno l’assonanza tra le due frasi. E lo stesso accade nel doppiaggio e nei sottotitoli italiani che accompagnano questo dialogo nella versione cinematografica di American Psycho diretta da Mary Harron. 
15 Anche in questo caso Paolini (P, p. 255) traduce alla lettera perdendo l’assonanza tra le due frasi.
16 Paolini opta per «È vestito per far colpo» e «Ma il colpo fa cilecca» (P, p. 51). Sia nella traduzione di Paolini sia in quella di Culicchia si perde il gioco di parole tra «Price» e «priceless» presente un paio di righe più sopra («”Price,” Van Patten says. “You’re priceless.”») e ripetuto altre due volte lungo il romanzo: i due traduttori rendono sempre «priceless» con «impagabile» (C, pp. 41, 52, 72; P, pp. 41, 51, 68).
17 La versione di Paolini, che mantiene il nome «Hugh» e anche il pronome inglese «You» (P, p. 67), risulta incomprensibile. Non è tra l’altro l’unico caso in cui Paolini conserva dei termini inglesi dell’originale (limitandosi a segnalarli con il corsivo); ad esempio: «sicché ho preso ad andare a un tanning salon» (P, p. 13); «Umilmente, il busboy obbedisce» (P, p. 51); «non ha però i soliti difetti dell’opera seconda: evita cioè il cosiddetto “sophomore slump”» (P, p. 281).
18 Interessante la scelta di Paolini che gioca con «succo di mirtilli» e «succo di mortella» (P, p. 98), dove quest’ultimo termine è una deformazione di “mortadella” così come «cranapple» lo è di “crabapple” (“mela selvatica”). Per quanto creativa, questa soluzione –contrariamente a quella di Culicchia– non è tuttavia ottimale: non si vede infatti come «succo di mortella» possa richiamare un liquido rosso assimilabile al «succo di mirtilli» o al sangue (il gioco di parole si trova infatti all’interno di una scena in cui, di fronte alle sue lenzuola sporche di sangue, Patrick Bateman si giustifica imbarazzato dicendo che si tratterebbe di «cranberry juice, cranapple juice»). 
19 Paolini optava per «calma» e «calmo»: P, p. 259.
20 Si consideri, a questo riguardo, una delle citazioni poste in esergo al libro, tratta da una canzone dei Talking Heads: And as things fell apart /Nobody paid much attention.
21 C, pp. 296-297, 336, 436, 450. Non è forse inappropriato un richiamo al «grande sonno in cui il capitalismo ha fatto immergere la coscienza collettiva dei moderni» denunciato da Walter Benjamin nei Passages di Parigi: Giulio Schiavoni, Walter Benjamin: il figlio della felicità, Milano-Udine, Mimesis, 2016, p. 326. 
22 «L’avrò fatto apposta? Cosa ne dite? O si è trattato di un incidente?» (C, p. 104); «Nel lasso di tempo che impiegherete a leggere questa frase, un Boeing sarà decollato o atterrato da qualche parte nel mondo» (C, p. 351); «Non c’era alcun motivo perché vi raccontassi tutto questo. Questa mia confessione non significa niente…» (C p. 487). Ancora più straniante è il passaggio alla terza persona in un breve brano del romanzo (C, pp. 449-452; lo stesso accadeva in una pagina della precedente opera dell’autore americano: Bret Easton Ellis, Le regole dell’attrazione, Torino, Einaudi, 1997, p. 151). Non si dimentichi inoltre che Patrick Bateman compariva già in alcune scene de Le regole dell’attrazione (in cui è il fratello maggiore di uno dei protagonisti, Sean Bateman; e quest’ultimo, a sua volta, è presente in un capitolo –«Birthday, Brothers»– di American Psycho); e ritornerà in due opere successive di Ellis: Glamorama (1998) e Lunar Park (2005). E altri dettagli della sua vita contribuiscono ad aumentarne il tasso di “finzionalità”: l’azienda per cui lavora, la Pierce and Pierce, era la stessa per cui lavorava il protagonista del Falò delle vanità (1987) di Tom Wolfe; mentre una delle sue conquiste, Alison Poole, ha lo stesso nome e le stesse caratteristiche della protagonista del romanzo di Jay McInerney Story of My Lif(1988).
23  Vedi supra nota 4.
24 Come si è già ricordato (supra, nota 10), questo errore, a cui si aggiunge quello per cui si tratterebbe del secondo disco di Costello, si accompagna ad un giudizio poco lusinghiero sul carattere “intellettualoide” dell’opera del cantante britannico, soprattutto se confrontata con la leggerezza pop di un gruppo come Huey Lewis and the News. L’amore di Bateman per quest’ultimo gruppo, così come quello per Whitney Houston e per i Genesis post-Peter Gabriel, rientra nella sottile parodia che Ellis fa dei gusti musicali del protagonista di American Psycho, incapace di apprezzare musicisti non da classifica (eccezion fatta per quella che dichiara essere la sua band preferita, i Talking Heads). Si ricordi che Less Than Zero (Meno di zero), il romanzo d’esordio di Ellis, prende il nome proprio da una canzone del primo disco di Costello; mentre Imperial Bedrooms (che di Less Than Zero costituisce il seguito) richiama, nel titolo, l’album di Costello Imperial Bedroom
25 «Guarda che stai proiettando» (C, p. 26; «You’re projecting). Paolini traduceva con «È un’illazione» (P, p. 28). Meno convincente invece l’uso di “organico” (evidentemente derivato dall’inglese “organic”, che però non è usato da Ellis) in riferimento ad alcuni dei cibi raffinati e salutisti mangiati da Bateman: «fiocchi d’avena organici» (C, p. 35; «oat-bran cereal»); «radicchio con calamari organici» (C, p. 121; «radicchio with some kind of free-range squid»). Lungo il romanzo Culicchia alterna questo aggettivo –da lui impiegato in chiave satirica anche nel suo romanzo del 2009 Brucia la città (Milano, Mondadori, pp. 16, 21: «un hamburger di fagiano del Canavese con una porzione extralarge di patatine organiche della Savoia»)–con “biologico”. Sul debito di Brucia la città con American Psycho si veda Dénes Mátyás, “Italian Psycho”: Brucia la città di Giuseppe Culicchia, in Interculturalism and Space in Literature and Media, Thomas Bremer / Susanne Schütz (eds.), Halle, Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg, 2016, pp. 187-211.
26 Le principali routine traduttive del “doppiaggese” sono riassunte in Stefano Ondelli, L’italiano delle traduzioni, Roma, Carocci, 2020, p. 115.
27 S. Ondelli, L’italiano delle traduzioni cit., p. 113.
28 S. Ondelli, L’italiano delle traduzioni cit., p. 100.
29 E si vedano anche questi esempi: «Una lenta dissolvenza e Price balza sulle scale» (C, p. 9); «Stacco. Sono di nuovo in cucina» (C, p. 13); «Torno a casa a piedi e auguro la buonanotte a un portiere che non riconosco (potrebbe essere chiunque), poi c’è una dissolvenza…» (C, p. 29); «in quella che sembra una sequenza al rallentatore» (C, p. 78); «è come se la scena venisse proiettata al rallentatore» (C, p. 108); «ogni cosa sparisce in quella che sembra una dissolvenza fotografica – al rallentatore, come in un film» (C, p. 145); «al rallentatore» (C, p. 204); «tutto accade come al rallentatore» (C, p. 296); «come al rallentatore, come in un film, si gira verso di me» (C, p. 313); «Come in una sequenza di un film dell’orrore –con una zoomata improvvisa– Luis Carruthers mi compare davanti di sorpresa» (C, p. 374); «Questa per me è la realtà. Tutto il resto mi sembra come un film visto tanto tempo fa» (C, p. 442); «Patrick continua a pensare che dovrebbe esserci una colonna sonora» (C, p. 449); «Ma proprio come in certi film» (C, p. 473); «Come se la pellicola di questo film venisse accelerata, lei scoppia subito a ridere» (C, p. 485). Sull’ibridazione con la scrittura cinematografica che questi passaggi rivelano cfr. Carlo Cenini, Ibridazioni narrative e antinarrative in American Psycho e Glamorama, in Commixtio. Forme e generi misti in letteratura, a cura di Alvaro Barbieri e Elisa Gregori, Padova, Esedra, 2017, pp. 285-302, a pp. 290-292. 
30 È un aspetto problematico che è stato osservato nelle traduzioni italiane dei primi due volumi della saga di Harry Potter: cfrS. Ondelli, L’italiano delle traduzioni cit,, pp. 59-60 (dove si cita lo studio di Giuliana Giusti, Interferenza dell’inglese sulla posizione del soggetto in italiano: alcune considerazioni sulle traduzioni italiane di Harry Potter, in Lingua, mediazione linguistica e interferenza, a cura di Giuliana Garzone, Anna Cardinaletti, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 151-166).

7 Commenti

  1. Caterina

    Uno di quei libri che mi ha scosso moltissimo, anche a distanza di anni mi è rimasto impresso, non ho visto il film perché il libro secondo me era già tutto!

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    • danieleruini

      Già, Ellis è uno scrittore scomodo: spesso potrà risultare irritante e fastidioso, ma di certo non lascia indifferenti (un po’ come Michel Houellebecq). Il film tratto da “American Psycho” non è male: però il libro è molto, molto di più. Grazie del commento 🙂

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      • Caterina

        Non ho mai letto houellebecq che mi consigli?

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        • danieleruini

          Mah, forse “Le particelle elementari”, che è il romanzo che gli ha dato popolarità…Ma parlando di romanzi “urticanti” mi permetto di consigliare “La pianista” di Elfriede Jelinek, un’autrice che davvero non fa sconti.

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          • Caterina

            Grazie i consigli di lettura sono sempre molto apprezzati 🙂

  2. Eleonora Pincherle Dusi

    Grazie per l’ottimo articolo! Sono qui perché, leggendo l’edizione Einaudi di Culicchia, ho notato i refusi e volevo capire se fossero addirittura presenti nell’opera originale. Invece no, sono refusi e basta. Segnalo a tal proposito anche “Courteny” al posto di “Courtney” a pag. 110. Sono molto infastidita dalla scarsa cura.

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    • danieleruini

      Grazie a te per il commento!

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