L’arte di sopravvivere al dolore: “Drive My Car” di Ryusuke Hamaguchi

PERCORSI DI CINEMA

Viaggia e troverai un’altra piacevole compagnia
che sostituirà chi a malincuore hai abbandonato.
(Le Mille e una notte)

«Tu non hai avuto gioie in vita tua, ma vedrai, zio Vania, vedrai…Ci riposeremo…Ci riposeremo!»: è con la battuta finale dello Zio Vania di Čechov, pronunciata dal personaggio di Sonia, che si conclude Drive My Car (Doraibu mai kā), l’ultimo film del regista giapponese Hamaguchi Ryusuke. E prima di giungere a questa conclusione, che vale come un monito soprattutto per il suo protagonista, il film si concede ben tre ore di tempo: una durata in fondo non sproporzionata per un’opera che riflette intorno alla mortalità e al senso di sopravvivere ai propri cari.
All’origine di tutto c’è l’omonimo racconto di Murakami Haruki (contenuto nella raccolta del 2014 Uomini senza donne), che Hamaguchi, anche sceneggiatore, ha amplificato aggiungendovi elementi da altri due racconti dello scrittore giapponese (Shahrazād e Kino) tratti dalla stessa raccolta. Lo sforzo è valso al film il Prix su scénario all’ultimo Festival di Cannes; ma Drive My Car è stato apprezzato anche oltreoceano e, dopo aver ottenuto il premio per miglior film in lingua straniera ai recenti Golden Globe Awards, sarà protagonista –con ben 4 candidature– ai prossimi Premi Oscar.

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