Tracce di trovatori nella musica pop (terza parte): “Canzone” di Dalla/Bersani

CANZONI D’AUTORE

Rispetto agli approfondimenti che avevamo dedicato a Julia Holter e Tom Zé, in questo terzo episodio sulle tracce trobadoriche nella popular music il rapporto tra la canzone che analizzeremo e la poesia occitanica è senz’altro molto più lasco. Non abbiamo infatti a che fare con un brano che riprende e traduce versi di testi trobadorici o che si dichiara direttamente ispirato alla poesia provenzale: si tratta invece, più semplicemente, della presenza di un artificio retorico che è possibile rintracciare già nella poesia romanza medievale e che l’autore del testo impiega senza avere probabilmente contezza delle origini letterarie di tale topos

L’autore in questione è Samuele Bersani, uno dei più importanti cantautori italiani degli ultimi trent’anni, vincitore di varie Targhe Tenco e capace di mantenere un livello compositivo sempre molto alto. Come è noto, ad aver per primo colto le abilità di Bersani fu Lucio Dalla, la collaborazione con il quale si tradusse nella composizione a quattro mani di Canzone, brano di successo contenuto nell’album di Dalla del 1996 Canzoni

1. In Canzone –di cui si raccomanda la magnifica versione acustica di Cristiana Verardo e Erica Mou– Samuele Bersani, autore del testo, descrive l’amore per una lei lontana senza la quale l’esistenza stessa si rivela impossibile[1]. Ma, al di là del tema della generica sofferenza d’amore, ciò che permette un collegamento con la poesia medievale è la circostanza per cui nel ritornello non ci si rivolge direttamente all’amata ma alla canzone stessa (personificata secondo la figura retorica della prosopopea[2]), a cui viene chiesto di cercare la donna in questione e di recarle il messaggio. Questo il ritornello, ripetuto per tre volte con leggere variazioni: 

Canzone
Cercala se puoi
Dille che non mi perda mai
Va’ per le strade tra la gente
Diglielo veramente
Canzone
Cercala se puoi
Dille che non mi lasci mai
Va’ per le strade tra la gente
Diglielo dolcemente
Canzone 
Trovala se puoi
Dille che l'amo e se lo vuoi
Va’ per le strade tra la gente
Diglielo veramente
Non può restare indifferente
E se rimane indifferente non è lei

Ora, tale modulo espressivo affonda le proprie radici, per l’appunto, nella poesia d’amore del Medioevo europeo, di cui –come si sa– quella trobadorica detiene il ruolo di capostipite. Le composizioni dei poeti dell’antica Provenza sono infatti talvolta concluse da una strofa finale più breve chiamata tornada avente generalmente una funzione di congedo e, soprattutto, di invio o dedica. Il ritornello di Canzone si riallaccia, in particolare, al topos che vedeva il trovatore apostrofare «la canzone personificata ordinandole di recarsi presso il destinatario»[3]. Come sottolineato da Edoardo Vallet nel suo studio sulle tornadas trobadoriche 

in questo genere di invii si trova prevalentemente la formula del tipo chanso sirventes vers chansoneta vai t’en, seguita dall’indicazione del luogo o del personaggio da raggiungere; oltre a ciò il trovatore può talvolta richiedere al componimento personificato di chantar dire un messaggio o far saber qualcosa al destinatario.[4]

Si vedano questi quattro esempi tratti da tre trovatori attivi tra la metà e la fine del XII secolo e da uno del XIII secolo[5]:

Chanso, vai t'en a La Mura
Mo Bel Vezer me saluda.
Qui c'aya valor perduda,
La sua creis e melhura.
(Bernart de Ventadorn, A tantas bonas chansos)[6]
Vai t'en chanzos,
denan lei ti presenta,
que s'ill no fos
no'i meir'Arnautz s'ententa.
(Arnaut Daniel, Quan chai la fuelha)[7]

Chansoneta, vai t'en lai,
Non ges q'ieu re.il man,
Mas ben li potz mon esmai
Dire ses mon dan.
Digatz li c'a leis es donatz
Mos coratges et autreiatz!
Sieus son e sieus serai jase!
Morir puosc per ma bona fe.
(Peirol, Atressi co.l signes fai)[8]
Vas la bella N'Elionor t'enansa
Chansos, qu'en lieis pren bos oretz meilluransa;
Qu'eu te tramet a lieis per meillurar,
E se t'aizis, poiras segur anar.
(Aimeric de Belenoi, Nulhs hom no pot complir adrechamen)[9]

Nel brano scritto da Samuele Bersani ritroviamo precisamente l’apostrofe alla composizione, l’invito –espresso tramite l’imperativo Va’– ad andare in mezzo alla gente e la richiesta di farsi messaggera presso la donna amata. Inoltre nel terzo ritornello figura anche quello che è un altro tema presente nelle tornadas provenzali caratterizzate da un epilogo lirico, ovvero una «dichiarazione di amore esclusivo ed eterno»[10]

2. Il modello della tornada ha poi agito sulla poesia d’amore prodotta nella Penisola italiana che, a partire dall’esperienza della lirica Siciliana, fu una diretta emanazione di quella provenzale. Si veda, per esempio, la strofa conclusiva di una lirica di Giacomo da Lentini, in cui si ritrovano tutti gli elementi caratterizzanti le tornadas trobadoriche su cui ci siamo soffermati: 

Canzonetta novella,
va’ canta nova cosa; 
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d’ogn’amorosa,
bionda più c’auro fino:
«Lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al Notaro
ch’è nato da Lentino».
(Giacomo da Lentini, Meravigliosamente)[11]

Come ha rilevato Gerasimos Zoras 

Nella lirica medievale e rinascimentale italiana era prassi comune dei poeti rivolgere spesso la parola alle loro stesse creazioni ed esporre in esse le proprie idee poetiche solitamente nei commiati (o congedi) delle canzoni. In particolare, suggeriscono loro dove dirigersi, come comportarsi di fronte al destinatario, come evitare alcuni pericoli legati alla ricezione da parte di altri lettori, come aiutare il poeta stesso, il quale talvolta è tormentato dall’amore e tal altra prova a divulgare i suoi messaggi politici.[12]

Dalla Scuola Siciliana gli esempi si prolungano nelle liriche dei maggiori autori del ‘200, come Dante e Petrarca. Anche loro spesso incaricano le loro poesie di fare da messaggero, «dando loro indicazioni di come e dove devono recarsi» e utilizzando «maggiormente verbi di seconda persona singolare all’indicativo o imperativo che hanno come soggetto la poesia»[13]. Si vedano gli esempi seguenti[14]:

Canzon, vattene ritto a quella donna
che m’ha rubato e morto, e che m’invola
quello ond’i’ ho più gola,
e dàlle per lo cor d’una saetta,
ché bello onor s’acquista in far vendetta.
(Dante, Così nel mio parlar vogli’esser aspro)
Canzone, presso di qui è una donna
ch’è del nostro paese;
bella, saggia e cortese
la chiaman tutti, e neun se n’accorge
quando suo nome porge
Bianca, Giovanna, Contessa chiamando.
A costei te ne va chiusa e onesta:
prima con lei t’arresta,
prim’a lei manifesta
quel che tu sè e quel per chi’o ti mando;
poi seguirai secondo suo comando.
(Dante, Doglia mi reca nello core ardire)
Canzon, s’al dolce loco
la donna nostra vedi,
credo ben che tu credi
ch’ella ti porgerà la bella mano,
ond’io son sì lontano.
Non la toccar; ma reverente ai piedi
le di’ ch’io sarò là tosto ch’io possa,
o spirto ignudo od uom di carne e d’ossa.
(Petrarca, Si è debile il filo a cui s’attene)
Se tu avessi ornamenti, quant'hai voglia,
poresti arditamente
uscir del bosco, e gir in fra la gente.           
(Petrarca, Chiare, fresche, dolci acque

Come si nota, l’invito a gir fra la gente di quest’ultimo testo, di gran lunga la più nota canzone petrarchesca, è richiamato quasi alla lettera nel ritornello di Canzone (Va’ per le strade tra la gente).

3. Su Samuele Bersani potrebbe quindi aver agito il ricordo scolastico di alcune poesie medievali, dalle quali sarebbe stato ripreso il modulo del commiato messo a frutto nel ritornello di Canzone. Di tale modulo ritornano qui, inoltre, altri due elementi minori: l’impiego di un avverbio di modo in –mente (Diglielo veramenteDiglielo dolcemente) che è attestato anche nei poeti antichi per sottolineare «il comportamento delle loro opere verso il destinatario»[15]; e la tendenza propria di alcune liriche italiane medievali a «descrivere le destinatarie sottolineando la loro durezza»[16], che è quanto accade nel terzo ritornello di Canzone, dove si allude alla possibilità, poi subito negata, che la destinataria del brano possa mostrarsi indifferente al messaggio recapitatole[17].

A tutto ciò si aggiunga che un altro passaggio di Canzone, tratto questa volta dalla quarta strofa, può essere ricondotto a un topos impiegato dai trovatori per descrivere il servizio d’amore proprio dell’amor cortese:  

Io non chiedo più di tanto
Anche se muoio son contento

Il fatto che l’abnegazione del poeta verso una donna crudele e capricciosa possa far coesistere la felicità dell’amante con il suo stesso annientamento da parte di Amore è certamente un sentimento presente nella lirica dei poeti provenzali. Lo si ritrova, ad esempio, in alcune poesie di Folquet de Marselha:

Tant m'abellis l'amoros pessamens
que s'es vengutz e mon fin cor assire,
per que no.i pot nuills autre pes caber
ni mais negus no m'es dous ni plazens,
qu'adonc viu sas quan m'aucizo.l cossire
(Tant m'abellis l'amoros pessamens)[18]
A vos, midontç, voill retrair’ en cantan
cosi.m destreign Amor[s] e men’ a fre
vas l’arguogll gran, e no m’aguda re,
qe.m mostras on plu merce vos deman;
mas tan mi son li consir e l’afan
qe viu qant muer per amar finamen.
Donc mor e viu? non, mas mos cors cocios
mor e reviu de cosir amoros
a vos, dompna, c[e] am tan coralmen;
sufretç ab gioi sa vid’ al mort cuisen,
per qe mal vi la gran beutat de vos.
(A vos, midontç, voill retrair’ en cantan)[19]

Nella quinta strofa Samuele Bersani fa inoltre riferimento al ruolo degli occhi: 

Io i miei occhi dai tuoi occhi
Non li staccherei mai
Adesso anzi io me li mangio
Tanto tu non lo sai

Come si sa gli occhi sono spesso al centro della dinamica amorosa descritta dai poeti medievali: strumenti che fissano l’immagine della donna nel cuore del poeta innamorato (come ben descritto da Giacomo da Lentini in Amor è uno desìo che ven da core) e quindi, allo stesso tempo, veicoli responsabili della sua sofferenza[20]

4. In conclusione, se il testo di Canzone si dimostra complessivamente in linea con la tendenza delle canzoni italiane degli ultimi decenni a riutilizzare stilemi tipici della poesia novecentesca (secondo quello stile che «proveniente dai simbolisti, attraversa l’espressionismo vociano, il secondo Ungaretti, e sfocia infine nell’ermetismo propriamente detto»[21]), il suo ritornello sembra riallacciarsi ad una più antica tradizione poetica che affonda le sue radici nella lirica occitanica.


NOTE

NOTE
1 Si veda il bridge: «Stare lontano da lei / Non si vive / Stare senza di lei / Mi uccide».
2 «La prosopopea o personificazione […] consiste nel raffigurare come persone esseri inanimati o entità astratte» (Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 2018, p. 383). Già Dante nel Convivio (III, IX, 2) osservava trattarsi di figura retorica usata spesso dai poeti: «E però mi volgo a la canzone […]: ed è una figura questa, quando alle cose inanimate si parla, che si chiama dalli rettorici prosopopeia; e usanla molto spesso li poeti».
3  Edoardo Vallet, A Narbona: studio sulle tornadas trobadoriche, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010, p. 140.
4 Ivi
5 I testi sono tratti da sito trobar.org.
6 «Canzone, vattene a La Mura / salutami il mio Bel Aspetto. / Che per chi abbia perso valore, / il suo cresce e migliora.»
7 «Vai canzone, / presentati davanti a lei, / che se lei non esistesse / Arnaut non vi avrebbe messo il suo impegno»
8 «Canzonetta, vattene laggiù / non che io le mandi qualcosa, / ma il mio scoraggiamento ben le puoi / dire senza mio danno. / Dille che a lei è donato / il mio cuore e concesso! / Suo sono e suo sarò per sempre! / Posso morire per la mia buona fede»
9 «Vai alla bella Eleonora, / canzone, che in lei buon pregio migliora; / che io ti mando a lei per migliorare, / e se ti accoglie potrai andare sicura»
10  E. Vallet, A Narbona cit., p. 153.
11 Antologia della poesia italiana, diretta da Cesare Segre e Carlo Ossola. Duecento, Torino, Einaudi, 1999, p. 38.
12 Gerasimos Zoras, Canzon, vattene dritto a quella donna: commiati rivolti da poeti alle loro poesie, in «Letteratura italiana antica», V (2004), pp. 259-268, a p. 259.
13 Ibidem, p. 265
14 Si cita da Dante Alighieri, Rime, edizione commentata a cura di Claudio Giunta, Milano, Mondadori, 2014; e da Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Paola Vecchi Galli, Milano, Rizzoli, 2017.
15 G. Zoras, Canzon cit., p. 265. Tra gli avverbi citati da Zoras (umilmentebenignamente, quetamente, cortesemente, pietosamente, tostamente, vemente) figura anche un caso di dolcemente (in una poesia di Chiaro Davanzati).
16 Ibidem, p. 263
17 Si veda per esempio (anche se non si tratta di un congedo ma del primo verso di un sonetto) questo incipit petrarchesco: Ite, caldi sospiri al freddo cuore.
18 «Tanto mi piace l'amoroso pensiero / che nel mio fino cuore si è venuto a mettere / tanto che non può entrarci alcun altro pensiero, / e nessun altro mi è dolce e piacevole, / che vivo sano quando mi uccidono i travagli» (Traduzione di Paolo Squillacioti in Folquet de Marselha, Poesie, Roma, Carocci, 2003).
19 «A voi, signora, voglio mostrar cantando / come Amore mi stringe e guida col freno, / e non m’aiuta affatto, di fronte al grande orgoglio / che mi mostrate quanto più vi chiedo mercé; / ma i pensieri e gli affanni sono così tanti / che, per amare finamente, vivo mentre muoio. / Dunque muoio e vivo? no, ma il mio cuore bramoso / muore e rivive di pensieri amorosi / per voi, signora, che amo tanto di cuore; / consentite con la gioia vita al morto ardente, / perché vidi purtroppo la vostra gran bellezza» (Traduzione di Paolo Squillacioti in Folquet de Marselha, Poesie, Roma, Carocci, 2003). Come noto, questo testo di Folquet de Marselha è stato tradotto-adattato dal caposcuola della Scuola Siciliana Giacomo da Lentini nella sua canzone Madonna, dir vo voglio.
20 Su quest’ultima dinamica si vedano testi come Atressi con Persavaus di Rigaut de Berbezilh e il già citato Tant m’abellis l’amoros pessamens di Folquet de Marselha.
21 Giuseppe Antonelli, Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 107. Tra i tratti sottolineati da Antonelli e che ritroviamo nel testo di Bersani (in espressioni come materasso di parolecucire il tempoocchi di mare) vi è l’«accostamento tra verbi concreti e sostantivi astratti» o tra un sostantivo astratto e uno concreto da cui il primo è quantificato (Ibidem, pp. 115-116).

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.