L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme
(Italo Calvino)
Il 7 aprile 2013 andavano in onda negli Stati Uniti le prime due puntate della sesta stagione di Mad Men (AMC, 2007-2015), l’acclamata serie televisiva ideata da Matthew Weiner e incentrata sulle vite di un gruppo di pubblicitari di stanza a Madison Avenue, nella New York degli anni ’60.
All’inizio di questo doppio episodio, intitolato The Doorway e ambientato nel Natale del 1967, il protagonista della serie, il carismatico Donald Draper (Jon Hamm), è ospite alle Hawaii di un lussuoso resort della Sheraton, uno dei clienti della sua agenzia. E mentre la sua seconda moglie Megan (Jessica Paré) si abbronza in spiaggia, Don accanto a lei è intento a leggere un’edizione tascabile dell’Inferno di Dante (nella traduzione di John Ciardi[1]); la scena è accompagnata dalla sua voce fuori campo che recita i primi versi del poema:
Midway in our life’s journey, I went astray
from the straight road and woke to find myself
alone in a dark wood
Come vedremo la scelta di questa lettura –rievocata recentemente anche da Giuseppe Antonelli a proposito della fortuna di Dante[2]–, assume un preciso significato sia all’interno dell’episodio sia nello sviluppo delle vicende che riguardano il protagonista. E, allo stesso tempo, costituisce un tassello di quella che potremmo definire la biblioteca di Donald Draper: sono infatti molteplici le occasioni in cui Mad Men ci mostra l’affascinante e tormentato pubblicitario alle prese con un libro di letteratura; e, in una serie in cui nulla è lasciato al caso (e che, come dichiarato dal suo creatore, «chiede a gran voce di essere analizzata»[3]), si tratta di opere scelte evidentemente per un preciso motivo[4].
1. Ritenuta uno dei vertici della “Complex TV” americana alla stregua di un capolavoro come I Soprano di David Chase (HBO, 1999-2007)[5], Mad Men condivide con quest’ultima un protagonista indimenticabile e anti-eroico (una tipologia di personaggio divenuta peculiare della serialità americana del XXI secolo[6] ). Donald Draper è un ammirato professionista di successo, «un mago dell’advertising […] capace […] di autentici colpi di genio»[7], bello, benestante e con una famiglia apparentemente perfetta; ma questa superficie patinata cela in realtà una costante lotta con i propri demoni, a partire da un’infanzia di povertà –anche emotiva– che ha cercato invano di cancellare. Più in particolare, durante la prima stagione ci viene svelato che la sua vita adulta è tutta costruita su una menzogna: proprio per cercare di allontanare da sé il suo misero passato –figlio illegittimo di una prostituta morta durante il parto e di un agricoltore alcolizzato che verrà ucciso dal calcio di un cavallo, era stato cresciuto da una matrigna senza alcun affetto all’interno di un bordello–, Don, il cui vero nome è Dick Whitman, si era appropriato dell’identità del proprio comandante durante la Guerra di Corea[8]. Dopo aver rubato il nome e la biografia di qualcun altro, Dick/Don si era trasferito a New York dove aveva iniziato una nuova vita che, in pochi anni, l’aveva portato a diventare un pubblicitario di successo presso l’agenzia Sterling Cooper.
Seduttore impenitente ossessionato dal bisogno di accumulare relazioni extraconiugali[9], Donald Draper «si trova al centro di una serie che esplora con maestria la differenza tra percezione e realtà»[10] e che mette in scena personaggi irrequieti e sempre insoddisfatti[11].. Il personaggio di Donald, marito fedifrago e gran consumatore di alcool, diventa quindi l’emblema dell’ipocrisia e del cinismo del mondo della pubblicità e, più in generale, del capitalismo rampante dell’America uscita dalla Seconda guerra mondiale. Come ha sottolineato Jean-François Pigoullié, Mad Men
affonda le sue radici non solo nella tradizione culturale americana che contrappone l’avere all’essere, il successo materiale alla promessa di realizzazione personale di cui è portatore il sogno americano, ma anche nella problematica della vacuità esistenziale della vita moderna. […] Poiché si fonda sull’amnesia, la felicità consumistica si rivela altrettanto fittizia della costruzione identitaria del self-made man.[12]
2. La doppia puntata che inaugura la sesta e penultima stagione di Mad Men, scritta dallo stesso Matthew Weiner, è permeata da un costante senso di morte; e se è vero che «la serie deve la sua fama a una narrazione densa e ricca di metafore»[13], la visione iniziale di Draper immerso nella lettura dell’Inferno, completamente estraneo al contesto paradisiaco di Waikiki Beach, è evidentemente funzionale ad introdurre quella caduta agli inferi che travolgerà il protagonista nelle ultime due stagioni[14]. Infatti, oltre alla consueta lotta con i suoi fantasmi interiori, Don, il cui genio professionale era sempre stato invidiato e celebrato[15], dovrà vedersela con una sospensione dal lavoro decisa dai soci dell’agenzia (nell’ultimo episodio della sesta stagione), il che lo farà progressivamente scivolare in un baratro di solitudine[16].
Direttamente collegato al poema di Dante è anche il titolo di questo duplice episodio: The Doorway. Molti sono infatti gli indizi dai quali si comprende come la porta d’ingresso a cui qui si allude è quella che introduce nell’oltretomba. Basti pensare alla scena iniziale in cui il portiere del condominio dei coniugi Draper è vittima di un attacco di cuore e viene salvato dal vicino di casa di Don, il dottor Arnold Rosen (Brian Markinson). E basta ascoltare ciò che Roger Sterling (John Slattery), uno dei soci di Don, racconta al suo psichiatra: con la sua tipica buona dose di cinismo e disillusione, Roger definisce l’esistenza come nient’altro che una monotona successione di porte che creano l’illusione che dall’altra parte possa esserci qualcosa di interessante, ma che in realtà non portano a nulla[17].
Nella seconda parte della puntata troviamo inoltre Roger direttamente alle prese con due perdite, prima quella della madre 91enne[18] e poi quella di Giorgio, un lustrascarpe di sua conoscenza a cui era legato, ragion per cui gli viene consegnata la sua valigetta: Roger, molto scosso da questo lutto, entra in ufficio e, tirata fuori una spazzola da scarpe, scoppia a piangere (come mai si era visto durante la serie).
Se un’allusione funebre sfiora in questo episodio anche Peggy Olson (Elisabeth Moss), che per la pubblicità di un modello di cuffie ricorre a uno slogan –Lend me your ears («Prestatemi orecchio»)– tratto dal discorso funebre di Marco Antonio per Giulio Cesare nel Giulio Cesare di Shakespeare, è naturalmente Don il personaggio maggiormente avvolto dalle tenebre della Signora in Nero. Alla sua lettura dell’Inferno fa seguito una notte insonne durante la quale si reca al bar dell’hotel: lì viene avvicinato da un giovane soldato impegnato in Vietnam e che si trova in congedo ad Honolulu per sposarsi[19]. Non è sorprendente che questo incontro, durante il quale Don rievoca il suo passato impegno in Corea, risvegli in lui tutti i turbamenti legati al suo segreto, così come pure il senso di colpa per essersela cavata quando invece le vite di tanti giovani americani continuano ad essere sacrificate in guerra.
Inoltre più avanti, nella seconda parte di The Doorway, un Don ubriaco, di ritorno dal funerale della madre di Roger, si rivolge al suo portiere, insistendo nel voler sapere che cosa ha visto quando è stato a un passo dalla morte[20]. Comprensibilmente irritato dall’ostinatezza del pubblicitario, il portiere dice di aver forse visto una specie di luce; al che Don gli domanda se si trattava di una luce come quella del sole tropicale («hot tropical sunshine»), il che riveste -a posteriori- la sua vacanza hawaiana di una patina infernale.
Man mano che la puntata si avvicina alla sua conclusione diventa sempre più evidente quanto il pensiero della fine stia arrovellando Draper. Chiamato a fornire ai dirigenti della Sheraton un’idea per pubblicizzare le loro strutture alberghiere alle Hawaii, Don mostra loro una vignetta pubblicitaria che li lascia a dir poco interdetti. Lo slogan Hawaii. The jumping off point (“Hawaii. Il trampolino per le onde”) è accompagnato dall’immagine dei vestiti di un uomo abbandonati sulla spiaggia: per Don dovrebbe comunicare l’idea di qualcuno che si è tolto i vestiti e si è buttato in mare, a simboleggiare un rinnovamento spirituale (con riferimento alla leggenda hawaiana che vuole che l’anima se ne vada sotto le onde spinta dal vento); ma agli uomini della Sheraton tutto ciò non fa che venire in mente un suicida. E quando uno dei dirigenti gli dice che la pubblicità gli sembra macabra, Don così risponde: «Heaven is a little morbid. How do you get to Heaven? Something terrible has to happen».
Infine, mentre sta festeggiando il capodanno insieme a due altre coppie a casa sua, tra cui il dottor Rosen e la moglie, Don appare molto turbato quando il chirurgo viene raggiunto telefonicamente a tarda ora per un’emergenza ospedaliera. E mentre lo accompagna in cantina a prendere gli sci (è capodanno e sta nevicando, sarebbe quindi difficile trovare un taxi), gli chiede com’è avere nelle sue mani la vita di un uomo; al che il dottor Rosen prima gli dice che è un onore e un privilegio ma poi, vedendo quanto Don sia affascinato dall’argomento, afferma che le persone come lui sono pagate per non pensare a questioni come la vita e la morte. E lo lascia con questa frase emblematica: «People will do anything to alleviate their anxiety».
La conclusione della puntata sembra una conferma di quest’ultima sentenza: utilizzando l’entrata di servizio (ancora un’altra porta…), Don fa il suo ingresso nell’appartamento del dottor Rosen e fa l’amore con sua moglie Sylvia (Linda Cardellini), che –solo ora veniamo a saperlo– è l’ultima delle sue conquiste. E durante il dialogo finale tra i due apprendiamo che è stata lei a prestargli la copia dell’Inferno che Donald aveva portato con sé alle Hawaii. D’altra parte Sylvia è italo-americana e ostenta molti simboli cattolici (un piccolo crocifisso al collo e alcune icone nella sua camera da letto): non ci stupisce allora che sia stata proprio lei a suggerire al suo amante la lettura di Dante[21].
3. La porta attraverso cui Don Draper penetra ancora di più nei meandri della sua angoscia sembra quindi rappresentare, allo stesso tempo, anche una scappatoia dai suoi propositi di essere –finalmente– un marito fedele e un padre presente. Non una via di uscita verso un’esistenza virtuosa, ma piuttosto l’ingresso in un girone infernale ancora più cupo, prigioniero com’è «di una bulimia emotiva che l[o] rende […] incapac[e] di relazionarsi in modo veritiero con chi gli sta accanto»[22].
Non è forse un caso, allora, che l’ultima puntata della stagione precedente, The Phantom, contenesse un dialogo tra Pete Campbell (Vincent Kartheiser), il più giovane tra i soci di Don, e la sua amante Beth (Alexis Bledel) nel quale era già presente la metafora della porta come una via di uscita per svicolare dai propri tormenti (e non assumersi la responsabilità di affrontare i propri desideri). Se Beth giustificava il ricorso all’elettroshock per curare la depressione dicendo che, quando si sottopone a quella terapia, è come se ci fosse una porta aperta e lei riuscisse ad attraversarla, Pete le rispondeva definendola una soluzione adatta per le persone deboli, quelle che non riescono a risolvere i loro problemi[23] .
4. Il tema della morte, intrecciato alla relazione tra Don e Sylvia, torna di nuovo nel settimo episodio della sesta stagione, Man with a Plan, in cui la moglie del dottor Rosen decide di mettere fine alla storia con Don. Mentre quest’ultimo affronta, terrorizzato, un viaggio di lavoro a bordo di un piccolo aereo guidato dal suo nuovo socio Ted Chaough (Kevin Rahm), Sylvia è costretta ad aspettarlo nel letto di una camera in albergo, giocando per lui la parte della schiava sessuale[24]. Quando Don ritorna, lei gli rivela di averlo sognato morto in un incidente aereo e di aver preso parte al suo funerale (durante il quale Megan le piangeva sulla spalla); il sogno poi proseguiva con lei che faceva l’amore col marito, al quale comunicava di essere stata lontana ma di essere finalmente tornata a casa. Per Sylvia si tratta di una visione che le ha finalmente rivelato la necessità di interrompere la relazione con Don: e così fa.
Si tratta di una scena in cui la connessione tra il volo aereo in mezzo a una turbolenza e il sogno di Sylvia suggerisce un reticolato di significati che rimanda al viaggio verso l’aldilà di matrice dantesca. «But I’m back» ribatte Don quando la sua amante gli racconta di avere sognato la sua morte: di certo lui è ancora vivo, ma la perdita di Sylvia costituisce un’ulteriore tappa della sua discesa agli inferi[25].
Ed è interessate che, dopo che Megan ha proposto a Don di tornare a Honolulu, questa volta per una vera vacanza (il che rinsalda il legame tra questo episodio e The Doorway), la puntata si concluda con le immagini televisive dell’assassinio di Robert Kennedy.
5. L’Inferno di Dante non è certo l’unico volume che vediamo tra le mani di Donald Draper nel corso della serie; tuttavia c’è forse solo un altro libro a cui è possibile riconoscere una rilevanza simbolica così forte per lo sviluppo del personaggio. Si tratta della raccolta poetica Meditations in an Emergency (1957) di Frank O’Hara (1926-66), che Don legge nell’episodio inaugurale della seconda stagione di Mad Men, For Those Who Think Young. In particolare nella conclusione dell’episodio, sentiamo la voce fuori campo di Don recitare la parte finale della poesia che chiude il libro di O’Hara, Mayakovsky:
Now I am quietly waiting for
the catastrophe of my personality
to seem beautiful again,
and interesting, and modern.The country is grey and
brown and white in trees,
snows and skies of laughter
always diminishing, less funny
not just darker, not just grey.It may be the coldest day of
the year, what does he think of
that? I mean, what do I? And if I do,
perhaps I am myself again.
Come si può dedurre dal verso finale (ma si veda anche questo passaggio tratto dalla prima parte: Mother, mother / who am I?), questo testo –che prende il titolo dal celebre pittore e scrittore russo morto suicida nel 1930– sollecita in Don delle riflessioni sulla sua identità e sulla menzogna su cui ha basato la sua vita da adulto.
Ad apparentare per importanza il ruolo di questo testo al poema dantesco è, oltre al fatto che di entrambi sentiamo una parte recitata da Don, la circostanza per cui anche il libro di Frank O’Hara crea un ponte tra il protagonista di Mad Men e un altro personaggio. Rispetto all’Inferno in questo caso il movimento è contrario: non è una donna che presta il volume a Don, ma è quest’ultimo a regalarlo a una donna. Don decide infatti di inviare una copia di Meditations in an Emergency (accompagnata dal messaggio scritto a penna «Made me think of you») a Anna Draper (Melinda Page Hamilton), ovvero la moglie del vero Donald Draper, con la quale aveva costruito un rapporto di profonda amicizia. D’altra parte Anna è l’unica persona ad essere a conoscenza del suo terribile segreto, e quindi il solo essere umano col quale Dick/Don può essere davvero sé stesso, senza finzioni[26].
Inoltre, l’eco del libro di Frank O’Hara si propaga per tutta la seconda stagione: se nella dodicesima puntata (The Mountain King) Don vedrà a casa di Anna la copia del volume che le aveva spedito, la tredicesima e ultima puntata, ambientata nelle giornate turbolente della crisi missilistica cubana (ottobre 1962), prende proprio il titolo di Meditations in an Emergency[27].
6. Come si è cercato di dimostrare, la presenza significativa di libri e riferimenti letterari contribuisce a dare spessore alle vicende raccontate in Mad Men; più in particolare, tornando al poema dantesco, si è visto come l’ombra infernale introdotta dalla lettura del poema dantesco da parte di Don si prolunga lungo l’ultima parte della serie. Si pensi, in particolare, alle ultime tre puntate della serie (Lost Horizon, The Milk and Honey Route, Person to person), che raccontano della fuga del protagonista verso ovest: incapace di adattarsi al ruolo di dipendente della più grande agenzia pubblicitaria di New York, la McCann-Erickson, Don va prima in Wisconsin alla ricerca della sua ultima amante, Diana, e poi sempre più lontano; e dopo essersi fermato in Oklahoma e in Utah, giunge in California da Stephanie, la nipote della defunta Anna Draper. Convinto dalla ragazza ad accompagnarla ad un ritiro spirituale sulla costa, Don giunge qui ad un punto massimo di alienazione; ed è tuttavia proprio quando sembra aver toccato il fondo che pare riuscire a trovare un nuovo slancio. L’intuizione di Matthew Weiner non è quella di mostrarci un’improbabile redenzione di Donald Draper o una sua deriva spiritualista quanto piuttosto di suggerirci un ritorno del pubblicitario nel suo ambiente naturale, cioè quello di Madison Avenue, e di farlo con un vero colpo da maestro. Dopo essere stato sconvolto dal racconto di un uomo che ha manifestato tutta la sua frustrazione e tristezza nel percepirsi invisibile agli occhi degli altri e nel sentirsi incapace di ricevere l’amore che gli altri gli offrono (una figura con cui si è chiaramente identificato), la mattina seguente Don partecipa a una seduta di yoga; e al primo piano del suo sorriso ambiguamente mefistofelico fanno seguito le immagini di una delle più note campagne pubblicitarie di tutti i tempi, ovvero quella della Coca-Cola del 1971 accompagnata dalla canzone I’d like to buy the World a Coke.
Matthew Weiner ha deciso di concludere la sua celebrata serie suggerendo l’idea che Donald Draper sfrutti la sua esperienza nel ritiro hippie per trasformarla in una pubblicità per la celebre bevanda zuccherata (a lavorare per la quale era stato effettivamente incaricato dalla dirigenza della McCann-Erickson). E si tratta di una conclusione del tutto coerente con lo spirito di Mad Men, uno show che ha raccontato gli anni ’60 dal punto di vista di personaggidivenuti adulti negli anni ’40 e ’50[28], i quali non hanno mai mostrato simpatie nei confronti della controcultura dei Sixties e non hanno mai messo in discussione il modello di società conformista che si sono forgiati durante la loro giovinezza[29].
Don, il cui mestiere è sempre stato quello di vendere l’idea stessa di felicità (lo dichiara già nel primo episodio della serie), si dimostra quindi sufficientemente e subdolamente scaltro da riciclare le istanze –dal suo punto di vista, ingenue– della controcultura mettendole al servizio del consumismo[30]. Come nella réclame che aveva ideato per la Sheraton, anche Don si è liberato dei suoi panni e ha affrontato un percorso di rinascita; tuttavia l’attraversamento della selva oscura non è stato funzionale, come invece per Dante, a una redenzione che fosse di esempio per l’umanità: al contrario, le sue sofferenze non hanno prodotto altro che una riconferma del suo cinico individualismo. Il capitalismo –sembra volerci suggerire Matthew Weiner– è riuscito a fagocitare le promesse di cambiamento della società americana degli anni ’60; e Donald Draper, accettando sé stesso come rappresentante di questo sistema diabolico, capisce che l’unica possibilità di sopravvivere all’inferno è accettarne serenamente le regole senza sensi di colpa, lasciando ogne speranza di realizzare un mondo più giusto e meno egoista.
NOTE
↑1 | John Ciardi (1916-1986), la cui traduzione dell’Inferno uscì per la prima volta nel 1954 e poi nel 1964 nell’edizione tascabile che vediamo tra le mani di Donald Draper, fu una figura piuttosto nota negli anni ’60: nato a Boston da genitori italiani, fu professore universitario, ma anche poeta, traduttore di Dante, recensore di poesia per il Saturday Review e detentore di una rubrica etimologica per la National Public Radio. |
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↑2 | Giuseppe Antonelli, Il Dante di tutti: un’icona pop, Torino, Einaudi, 2022, pp. 47-48. |
↑3 | La dichiarazione è riportata da Alan Sepinwallnel suo Telerivoluzione. Da Twin Peaks a Breaking Bad, come le serie americane hanno cambiato per sempre la TV e le forme della narrazione, Milano, BUR-Rizzoli, 2014, p. 411. Oltre a innumerevoli articoli e approfondimenti, alla serie sono state dedicate alcune monografie: Mad Men and Philosophy: Nothing Is as It Seems, edited by Roth Carveth, James B. South, New Jersey, John Wiley & Sons, 2010; Analyzing Mad Men: Critical Essays on the Television Series, edited by Scott F. Stoddart, Jefferson (NC), McFarland & Company, 2011; The Ultimate Guide to Mad Men: The Guardian Companion to the Slickest Show on Television, edited by Will Dean, Random House UK, 2011; Mad Men and politics: nostalgia and the remaking of modern America, by Lilly J. Gore, Linda Beail, New York, Bloomsbury, 2015. |
↑4 | Alla presenza dei libri in Mad Men ha dedicato un’approfondita indagine Billy Parrott, bibliotecario della Stavros Niarchos Foundation Library (che fa parte della New York Public Library). Una sintesi della sua inchiesta, che raccoglie 25 libri divisi per personaggio, si può trovare qui. |
↑5 | La serie di David Chase, tradizionalmente ritenuta come l’apripista della Grande Serialità americana del XXI secolo, era il punto di riferimento qualitativo che i dirigenti dell’AMC –alla ricerca di un progetto originale– avrebbero voluto eguagliare (cfr. A. Sepinwall, Telerivoluzione cit., pp. 380-381). E prima di realizzare Mad Men, Matthew Weiner aveva lavorato come sceneggiatore proprio per le ultime due stagioni dei Soprano. |
↑6 | Basti pensare, tra gli altri, a Walter White di Breaking Bad, a Vic Mackey di The Shield, a Frank Underwood di House of Cards, all’omonimo protagonista di Dexter o alle eroine di Orange Is the New Black. Cfr. Margrethe Bruun Vaage, The Antihero in American Television, London-New York, Routledge, 2015; Andrea Bernardelli, Cattivi seriali. Personaggi atipici nelle produzioni televisive contemporanee, Roma, Carocci, 2016; Television antiheroines. Women behaving badly in crime and prison drama, edited by Milly Buonanno, Chicago, Intellectbooks, 2017. Su Donald Draper si veda, in particolare, Paolo Braga, Il fascino dell’antieroe: protagonisti “che fanno cose orribili” in Paolo Braga, Giulia Cavazza, Armando Fumagalli, The Dark side: Bad guys, antagonisti e antieroi del cinema e della serialità contemporanei, Roma, Audino, 2016, pp. 99-124, a pp. 110-112, 122-124. |
↑7 | Aldo Grasso, Cecilia Penati, La nuova fabbrica dei sogni: miti e riti delle serie tv americane, Milano, Il Saggiatore, 2016, p. 147. |
↑8 | Dopo un’esplosione nella quale era rimasto ferito, Dick aveva scambiato la propria piastrina identificativa con quella del defunto tenente Donald Draper (la cui salma rimpatriata viene quindi registrata come quella di Dick Whitman). Solo la vedova del vero Draper si accorgerà dello scambio di persona e riuscirà a rintracciare il falso Don, che è costretto a confessare la sua macchinazione: la donna, tuttavia, invece di smascherarlo pubblicamente, deciderà di coprirlo e intreccerà con lui una profonda amicizia. |
↑9 | «Il rapporto di Don con le donne è definito dai tratti dell’ossessione, sempre destinato all’accumulo furioso e poi alla sfuggevolezza e all’irresolutezza: flirta, seduce e di norma le cose finiscono molto male» (A. Grasso, C. Penati, La nuova fabbrica dei sogni cit., p. 145). |
↑10 | A. Sepinwall, Telerivoluzione cit., p. 380. |
↑11 | «In Mad Men la felicità è una sensazione di completezza inaccessibile» (Jean-François Pigoullié, Mad Men: autopsia di un sogno americano in «Vita e Pensiero» 98, n.5(sett.-ott. 2015), pp. 86-94, a p. 91). Emblematico, a questo riguardo, il discorso che Pete Campbell rivolge in ospedale alla sua amante Beth (smemorata dopo essersi sottoposta a un elettroshock per curare la sua depressione) nell’ultima puntata della quinta stagione, The Phantom: fingendo di parlare di un amico ma parlando in realtà di sé stesso, Pete, che non sopporta più la vita coniugale, definisce la propria famiglia come una «benda momentanea su una ferita aperta» («And that his life with is family was some temporary bandage on a permanent wound»). |
↑12 | J.-F. Pigoullié, Mad Men cit., pp. 86-87. |
↑13 | A. Sepinwall, Telerivoluzione cit., p. 412. |
↑14 | Cfr. A. Grasso, C. Penati, La nuova fabbrica dei sogni cit., p. 144. E si veda anche questa dichiarazione esplicita di Matthew Weiner: «[Dante’s Inferno] has one of the greatest opening lines ever, which is part of the reason I loved having it there, because it really did seem to launch the season and what I think we’re going to be talking about, which is that Don may have lost his way or found himself in the woods.» (cit. da Sarah Annunziato, Guest-Starring Dante Alighieri: References to Inferno on American Television, «Americana: The Journal of American Popular Culture, 1900-Present» n°15.1-Spring 2016). |
↑15 | «In Mad Men tutti i personaggi non fanno che complimentarsi con Don Draper per come fa il suo lavoro: buona parte di quelli maschili vorrebbe essere lui, buona parte di quelli femminili vorrebbe stare con lui» (Jason Mittell, Complex TV: teoria e tecnica dello storytelling delle serie TV, Roma, Minimum Fax, 2017, Cap. 4 Personaggi, Paragrafo I personaggi seriali e la loro possibilità di cambiare). |
↑16 | La solitudine di Don è del tutto evidente, per esempio, nella quart’ultima puntata della serie (Time & Life: puntata n°11 della settima stagione): uscito a brindare insieme ai suoi soci per festeggiare l’acquisizione della loro agenzia da parte del colosso della pubblicità McCann, Don viene via via abbandonato da tutti e rimane da solo nel locale: mentre gli altri hanno legami sentimentali che li aspettano, lui non ha nessuno. Per alleviare questo peso si reca nell’appartamento della sua ultima amante, una cameriera di nome Diana che aveva deciso di troncare con lui: ma lei è sparita e dentro casa si trovano ora nuovi inquilini. |
↑17 | «What are the events in life? It’s like you see a door. The first time you come to it, you say ‘Oh, what’s on the other side of the door?’ Then you open a few doors and then you say ‘I think I want to go over a bridge this time. I’m tired of doors.’ Finally you go through one of these things, and you come out the other side, and you realize that’s all there are: doors! And windows, and bridges, and gates. And they all open the same way. And they all close behind you… Look, life is supposed to be a path, and you go along, and these things happen to you, and they’re supposed to change your…change your…direction, but it turns out that’s not true. Turns out the experiences are nothing. They’re just some pennies you pick up off the floor, stick in your pocket, and you’re just going in a straight line to you know where.”». |
↑18 | Ed interessante che durante il funerale, infastidito dalla presenza del nuovo compagno della sua ex-moglie, se ne esca con la battuta: «This is MY funeral!». E più avanti, durante una seduta dal terapista, Roger ribadisce il senso di perdita che la morte della madre gli ha lasciato: non perché sente la sua mancanza, ma perché ora ha preso coscienza della prossima fine anche della sua stessa vita: «My mother loved me in some completely pointless way and it’s gone. So there it is. She gave me my last new experience. And now I know that all I’m going to be doing from here on is losing everything. […] I don’t feel anything. Just acknowledging that life, unlike this analysis, will eventually end, and somebody else will get the bill». |
↑19 | Il matrimonio sarà celebrato la mattina seguente, con Don che accetta di fare da testimone alla sposa. Questa scena è rievocata da Hawaiian Wedding Song, la canzone cantata da Elvis Presley che conclude la seconda parte della puntata. |
↑20 | In realtà Don gli domanda che cosa ha visto «when you died». E alla risposta del portiere che in verità non era veramente morto, così ribatte: «I saw, you were dead!». |
↑21 | Dal nome deduciamo che anche il già citato lustrascarpe Giorgio, la cui morte tanto colpisce Roger Sterling, era evidentemente di origine italiana. A proposito della presenza dell’Italia lungo la serie, si può ricordare che una delle puntate della terza stagione (la n°8, Souvenir) mostrava Don e la sua prima moglie Betty in viaggio a Roma (dove Don è chiamato ad ispezionare uno degli hotel di Conrad Hilton). Inoltre nel penultimo episodio di Mad Men, The Milk and Honey Route, si vede una donna nella piscina dello stesso motel di Don che legge la traduzione inglese de La romana (The Woman of Rome) di Alberto Moravia. |
↑22 | Andrea Sartor, Mad Men: Recensione dell’episodio 6.01 e 6.02 – The Doorway (telefilm-central.org, 14 aprile 2019). |
↑23 | Beth: «It’s so dark, Peter…I just get to this place and I suddenly feel this door open and I wanna walk through it». Pete: «That’s for weak people, people who can’t solve their problem». |
↑24 | Tra l’altro anche qui abbiamo a che fare con un libro di proprietà di Sylvia (si tratta del romanzo The Last Picture Show di Larry McMurtry, pubblicato nel 1966) di cui Don entra in possesso. Contrariamente alla traduzione dell’Inferno, che lei gli aveva volontariamente prestato, in questo caso il libro è sottratto da Don alla sua amante allo scopo di rendere ancora più eremitica la permanenza obbligata di Sylvia in albergo in attesa del suo ritorno. Benché non l’abbia preso per interesse personale, vediamo tuttavia Don aprire il romanzo di McMurtry mentre è in volo con Ted, evidentemente allo scopo di distrarsi dalla perturbazione atmosferica che stanno affrontando. |
↑25 | A proposito di questa scena, viene in mente il nome di un altro grande narratore italiano, Federico Fellini, e in particolare il suo progetto per Il viaggio di G. Mastorna, un film mai realizzato di cui ci è rimasta la sceneggiatura (cfr. Federico Fellini, Il viaggio di G. Mastorna, a cura di Ermanno Cavazzoni, Macerata, Quodlibet, 2008). Il film avrebbe infatti dovuto mettere in scena il disastro aereo di cui rimane vittima il protagonista, il quale tuttavia –dopo l’incidente– prosegue la sua esistenza senza rendersi conto di essere morto: l’idea di Fellini era quella per cui Mastorna aveva fatto il suo ingresso in un Purgatorio del tutto simile all’Aldiqua (cfr. Federico Pacchioni, È la vita anche la morte: il purgatorio astrale del Mastorna in Fellini e Dante: l’aldilà della visione, Genova, Sagep, 2016, pp. 93-97. E nello stesso volume si veda anche il saggio di Paolo Bertetto, Fellini, lo spettacolo, l’inferno, a pp. 55-64.). |
↑26 | Proprio per questo la notizia della morte di Anna getterà Don in una grande prosternazione: come confesserà alla sua giovane collega Peggy, si trattava infatti dell’unica persona che lo conosceva davvero (Stagione 4, episodio 7: The Suitcase). Tale rivelazione rappresenta uno dei momenti più importanti di quella che è forse la sottotrama più interessante della serie, ovvero il rapporto tra Don e Peggy. A questo proposito si veda anche la bellissima scena della parte finale di The Strategy (Stagione 7, episodio 6), in cui, ancora una volta da soli negli uffici dell’agenzia a tarda ora, Don e Peggy finiscono per ballare sulle note di My Way. Non a caso sarà proprio a Peggy che Don –finito in un ritiro spirituale in California– telefonerà nella puntata conclusiva della serie (Person to person), rivelandole la sua disperazione per tutti gli sbagli commessi (aver rubato il nome di un altro uomo, essere stato un marito fedifrago, aver scandalizzato sua figlia Sally). |
↑27 | La citata puntata precedente, The Mountain King, prendeva invece il nome dal celeberrimo brano del compositore norvegese Edvard Grieg, originariamente scritto per le musiche di scena del Peer Gynt di Henrik Ibsen. In questo episodio Don assiste infatti a una lezione di pianoforte di Anna Draper, il cui giovane allievo si esercita proprio su questo brano di Grieg; il commento di Don, «It’s scary!», ha a che fare con la natura inquietante di questa musica, che originariamente accompagnava le minacce dei troll al protagonista del dramma di Ibsen. |
↑28 | Cfr. quanto dichiarato da Weiner a Alan Sepinwall (Telerivoluzione cit., p. 407). |
↑29 | Cfr. J.-F. Pigoullié, Mad Mencit.,pp. 93-94. Per esempio in The Doorway Don dichiara ai suoi colleghi che gli piacerebbe molto prendere in giro gli hippies di San Francisco in una pubblicità. Inoltre le due ragazze a cui durante la serie vediamo fare una scelta di vita alternativa in comunità (un’amica della figlia di Don e Betty, e la figlia di Roger Sterling) non ricevono nessuna approvazione. E non sarà un caso che l’unico pubblicitario della Sterling Cooper a manifestare idee progressiste, Paul Kinsey (Michael Gladis), andrà incontro all’improbabile destino di squattrinato affiliato degli Hare Krishna. |
↑30 | P. Braga, Il fascino dell’antieroe cit., p. 124. |
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